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E’ guerra per i media USA, ma non tutti ci stanno

20 Settembre 2001

E’ guerra per i media USA, ma non tutti ci stanno

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Il mainstream vuole la vendetta, costi quel che costi. Ma esistono fonti e posizioni più ragionevoli.

A poco più di settimana dall’attacco terrorista agli USA, lo scenario rimane assai teso. Notizie e ipotesi drammatiche si rincorrono ora dopo ora sui siti web delle maggiori testate di ogni paese del mondo. All’interno degli States, il pensiero mainstream impone un’unica soluzione: chiara, insaziabile sete di vendetta. ‘Retaliation’, ritorsione, rappresaglia, è il termine più in voga, tra i commentatori e i giornalisti come pure tra la gente comune. D’altronde è un fatto che i media abbiano preso a battere il tamburo della vendetta già mentre scorrevano in TV le immagini in diretta della devastazione. Certo, di fronte a simili atrocità ognuno reagisce come può — dalle veglie silenziose alla rabbia urlata per strada, all’auto-tortura di guardare ad infinitum le agghiaccianti immagini. Nell’immediatezza degli eventi, anche i professionisti dell’informazione sono rimasti sconvolti, reagendo alla bell’e meglio. Normale, accettabile. Tuttavia, tale stato di esaltazione è proseguito imperterrito a ogni ora del giorno e della notte, né accenna ad attenuarsi. E quel che è peggio, fomenta ancor più la spirale delle atrocità, come insegna la storia. Lecito chiedersi a questo punto: quale il ruolo dell’informazione in una società civile, moderna, democratica? E soprattutto, quale lo spazio per il pluralismo in circostanze così impreviste e drammatiche ?

Innanzitutto, un importante elemento su cui riflettere: in questi giorni, le non-stop dei network radio e TV hanno ospitato numerosi ‘esperti’, ovvero ex-capi della CIA, militari, ex-segretari di stato e via di seguito. Non si è sentita un sola voce discordante, nessuno si è dato la pena di interpellare qualcuno dell’ambiente liberal o dell’arcipelago pacifista. E sì che non mancano in questi ambiti le teste pensanti. Le quali vengono così semplicemente ignorate, o trovano spazio in giri ristretti come il circuito radio di Pacifica, soprattutto con la quotidiana “Democracy Now!” (ascoltabile ovunque via Internet), i cui redattori in questi giorni sudano più del solito per dar voce ad esperti internazionali, storici e giornalisti. Facendo informazione soprattutto sugli antefatti alla base simili follie, fornendo quel contesto storico-sociale ignorato invece dal mainstream (pratica nient’affatto nuova). Antefatti, va detto, del tutto ignoti al grande pubblico USA, che continua a chiedersi, per lo più in buona fede: Come mai ci odiano tanto?

Domanda a cui risponde, oltre alle argute analisi del Guardian britannico, Noam Chomsky ricordando in un messaggio online, ad esempio, “i bombardamenti di Clinton in Sudan senza un pretesto credibile, che hanno distrutto metà delle scorte farmaceutiche del paese, uccidendo un numero sconosciuto di persone”. (Il testo integrale di Chomsky, anche in traduzione italiana, è reperibile sul sito di Peacelink). Intervenendo a “Democracy Now!”, lo storico e scrittore Howard Zinn rammenta poi i ‘pretesti terroristici’ che in passato hanno dato adito ad atroci guerre mondiali e locali, avvisando a non commettere l’ennesimo errore. Tutto ciò condito con articolate le opinioni dal vivo di persone comuni, pacifisti e arabo-americani, soccorritori e familari delle vittime.

A contrastare la marcia verso la guerra voluta dai grandi media c’è anche un apposito osservatorio, quello di FAIR, Fairness & Accuracy In Reporting. Il relativo sito ospita una serie di reportage sugli articoli più significativi apparsi in questi giorni sulle grandi testate. Citando da tali articoli, si chiarisce ad esempio come il mantra della rappresaglia sia l’unico possibile, non importa a quale prezzo e contro chi, civili o militari. Lo sostengono tra gli altri CNN, Washington Post, Fox News Channel. Invece Wall Street Journal e New York Times spingono con forza affinché “gli USA prendano davvero sul serio il terrorismo”, abolendo ad esempio la norma che vieta alla CIA di assumere investigatori con passati criminali.
Di fianco all’osservatorio di FAIR, ecco i molteplici punti di vista dissonanti riuniti su AlterNet. È qui che si trovano, tra l’altro, le alternative alla guerra offerta da prominenti leader del circuito pacifista o il punto di vista dei molti che, in Afganistan, subiscono l’atroce egemonia Taliban. E ancora, informazioni sul clima pesante e sulle ritorsioni che vanno subendo singoli e gruppi di arabo-americani sul suolo statunitense. Né mancano gli spazi per le discussioni a latere, sempre assai vivaci e animate.

Altro sito da seguire regolarmente è Salon, dove ancor più e meglio che le news d’aggiornamento, stimolanti si dimostrano riflessioni ed editoriali a tutto campo. Si indaga su cosa realmente significhi che il mondo ora non è più lo stesso, ci si interroga sul giornalismo in tempi di crisi. Scrive al riguardo l’editor David Talbot: “Gli Americani necessitano della più vasta serie possibile di informazioni ed analisi mentre il governo e i militari affrontano i cimenti del futuro. Ora più che mai, abbiamo bisogno di un giornalismo allo stesso livello delle sfide dei nostri tempi.”
Neppure vanno dimenticate, tra le molte email in circolazione, i messaggi di speranza proposti da autori più o meno noti. È il caso di Deepak Chopra, il quale scrive: “in un tale momento di shock nessuno ha la risposta giusta.” Concludendo però con: “Ma se in questo momento tu ed io abbiamo anche un solo pensiero di violenza oppure odio contro qualunque individuo, allora non facciamo altro che contribuire alla ferita del mondo.”

Ma quanto sopra, insieme a similari ambiti online e varie aree di discussione, non è affatto sufficiente. In situazioni così estreme, è il pensiero mainstream a farla da padrone. Il quale trascina con sé sondaggi in cui la vasta maggioranza della popolazione non vorrebbe altro che sangue e vendetta (vedi New York Time e CNN.com). Ieri come oggi, poco lo spazio per invitare alla comprensione degli eventi, a fare un passo indietro per considerare la ‘big picture’. Che fare? Considerare quantomeno l’ammonimento di Noam Chomsky si sbagli: “Anche in questo caso, abbiamo una scelta: possiamo cercare di capire, oppure rifiutarci di farlo, contribuendo ad aumentare le probabilità che ci attenda, per il futuro, qualcosa di ancora più atroce.”

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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