Ho letto La singolarità è vicina, l’opera nella quale Ray Kurzweil prefigura il momento in cui il progresso tecnologico diventerà così rapido e radicale da portare a una nuova evoluzione umana, nella quale il corpo si fonde con la macchina, rendendoci immortali, eliminando la fame nel mondo e molto altro.
Con tutto il rispetto, va presa come fantascienza suggestiva e vagamente messianica e niente più, a dispetto dei tanti che hanno deciso di abbracciare il credo dello scientismo (cosa ben diversa dalla scienza), per via di pensieri come questi (tratti dalla versione originale):
Most long-range forecasts of what is technically feasible in future time periods dramatically underestimate the power of future developments because they are based on what I call the “intuitive linear” view of history rather than the “historical exponential” view.
In sintesi, l’innovazione futura viene sottovalutata perché non vediamo l’accelerazione del progresso e quindi sappiamo che – siccome accelera – il progresso sarà fantastico, non importa il perché.
Il progresso non accelera affatto; la rivoluzione digitale ha avuto inizio quarant’anni fa con l’invenzione del microprocessore, per iniziare a disvelarsi solo oggi, nel momento in cui hardware e software stanno arrivando faticosamente al momento magico. Non è la singolarità di Kurzweil; più modestamente (e molto più concretamente), è la disponibilità allargata a basso prezzo di hardware e software.
Nel 2045 avremo le basi dell’immortalità, come sostiene Kurzweil? Liberi di crederci. Preferisco godere del presente. In cui, per esempio, la disponibilità allargata di hardware e software permette a Claire Lomas, donna paralizzata dal torace in giù, di completare una maratona in sedici giorni. O rende Cathy Hutchinson, tetraplegica da quindici anni, capace di controllare un braccio robotico con il pensiero.
Ne vedremo di sempre più incredibili e meravigliose. Tra trentatré anni non avremo alcuna singolarità. E invece migliaia, milioni di tanti piccoli, decisivi progressi. Umani.