Mentre i residenti delle coste del Golfo del Messico avevano capito di che portata fosse la fuoriuscita di petrolio da una piattaforma, nel 2010 le fonti d’informazione ufficiali tardavano a dare l’esatto resoconto della situazione.
Rendendosi conto di questa disparità tra la diffusione delle notizie e la tragica esperienza che stavano subendo le popolazioni locali, un gruppo di volontari ha organizzato una ricognizione fai-da-te dell’accaduto. Armati di palloncini, bombole di elio per farli volare, aquiloni ed economiche macchine fotografiche digitali hanno creato una specie di rete satellitare locale di monitoraggio, scattando oltre 100 mila immagini dall’inizio della calamità e ancora dopo alcuni mesi quando, finalmente, il pozzo è stato messo in sicurezza. Per l’occasione il gruppo stesso ha creato una piattaforma software, MapKnitter, in grado di mettere ordine e trasformare l’insieme delle foto in vere mappe del territorio sotto esame.
L’informazione ha battuto sul tempo ciò che successivamente è stato ampiamente coperto dalle diverse organizzazioni governative e che si può trovare cronologicamente descritto anche nell’apposita pagina di Wikipedia.
Questa, più o meno, è la cronaca della nascita di Public Lab, una comunità che si è raccolta intorno ai tre fondatori Shannon Dosemagen, Jeff Warren e Stewart Lungo:
Un luogo dove imparare a indagare su ciò che riguarda l’ambiente. Utilizzando tecniche fai-da-te non dispendiose, cerchiamo di cambiare la visione del mondo in termini ambientali, sociali e politici.
Le iniziative sono tante e differenti e stanno avendo un discreto successo. Così anche la creazione di strumenti pensati per essere riproducibili e utilizzabili da tutti. Un esempio: lo spettrofotometro da scrivania, oggi in versione 3.0.
In meno di mezz’ora è assemblabile da chiunque e, tramite un reticolo di diffrazione ricavato da uno spezzone di DVD, permette di analizzare materiale nel visibile e nel vicino infrarosso per ottenerne gli spettri, ovvero una specie di impronta digitale caratteristica di ogni materiale analizzabile. Completo di presa USB da collegare al proprio computer e di un software adeguato alla visualizzazione professionale del risultato.
Per 45 dollari più spese di spedizione è più facile farselo spedire che non autocostruirselo, benché tutti i dettagli si trovino sul sito.
Oltre ad essere un’iniziativa di per sé interessante, è anche contagiosa. Gruppi che fanno riferimento a Public Lab sono nati in Inghilterra, in Svezia, in Australia. Perfino Gerusalemme e i campi profughi del Libano sono sotto osservazione da parte di qualche volontario.
In Italia? Per ora non c’è traccia di Public Lab o iniziative analoghe, ma sicuramente anche da noi qualche indagine più approfondita e capillare di alcune zone non farebbe male a nessuno. Forse.