La diffusione esponenziale di Internet ha portato agli onori della cronaca, soprattutto negli Stati Uniti, ma ora anche in Italia, frequenti episodi di domain name grabbing. L’espressione, tradotta letteralmente, indica “l’arraffare, l’impadronirsi di nomi di dominio”. Come è ben noto agli utenti della Rete, e in particolar modo a quanti la utilizzano per fini commerciali, si tratta della prassi di registrare come proprio domain name, cioè come proprio indirizzo Internet, il marchio di note aziende, per poi cederglielo, trasferendo la registrazione, dietro pagamento di somme spesso ingenti. È nato, cioè, un vero e proprio mercato sotterraneo dei domain names, in cui le regole sono spesso dettate dai cosiddetti cyber-squatters.
Il domain grabbing viene utilizzato anche per fini di concorrenza sleale, registrando come proprio dominio i marchi delle imprese concorrenti o un domain name confondibile con altro già registrato.
Particolare interesse ha suscitato la causa recentemente intentata, nel Maryland, da Chicago Tribune e Tampa Tribune nei confronti della Internet Services Incorporated (ISI), che ha registrato come proprio dominio “ChicagoTribune.com” e “TampaTribune.com”. La ISI, peraltro, ha registrato come domain name anche una decina di altri nomi di testate giornalistiche, tra cui “LosAngelesTimes.com”, “TimesMirror.com” e “Izvestia.com”, oltre al nome di alcune stazioni radiofoniche e televisive americane.
La gravità del fenomeno è evidente, se solo si considera la rilevanza che può assumere il nome di dominio per identificare il titolare del sito, ma anche l’attività svolta e i prodotti o servizi offerti in Rete.
La pratica del domain grabbing è resa possibile dal fatto che, per quanto sia pacifico che i domain names sono qualcosa di più che un semplice indirizzo, essendo sotto molti aspetti equiparabili a veri e propri segni distintivi dell’impresa, la procedura per la loro registrazione prescinde completamente dalla normativa in materia di marchi.
Come è noto, per la registrazione di un dominio “.it” è competente la Registration Authority Italiana che, sino a poco tempo fa, agiva in nome e per conto del GARR (Gruppo Armonizzazione Reti della Ricerca): tutte le informazioni necessarie sono ora all’indirizzo www.nic.it. Per i domini “.com”, “.org”, “.gov”, “.edu” o “.net”, invece, è consigliabile rivolgersi all’unica autorità ufficiale riconosciuta dalla National Science Foundation, cioè l’Internet Network Information Center (InterNIC): per le modalità, si veda http://www.internic.net, da non confondere con www.internic.com (a proposito di domain grabbing!), il sito Web della Internic Software, che svolge la medesima attività, ma senza alcuna ufficialità e senza essere affiliata a InterNIC; quest’ultima precisazione – a seguito di battaglie legali intentate dall’autorità ufficiale – compare ora a chiare lettere nella home page del sito, dove viene anche fornito l’indirizzo Internet di InterNIC.
Questi enti, inizialmente, si limitavano ad applicare la regola del first come, first served, assegnando ogni nome a chi per primo ne avesse fatto richiesta e negando la registrazione esclusivamente in presenza di un identico nome già registrato in precedenza. Si è scatenata, così, una vera e propria corsa per l’aggiudicazione dei domini. Ha fatto il giro del mondo il caso del giornalista americano che, per denunciare provocatoriamente i rischi connessi all’assenza di regole adeguate, ha chiesto e ottenuto, per sé, la registrazione del domain name “mcdonalds.com”, poi ceduto alla McDonald’s in cambio del versamento di una somma in beneficenza.
Da un paio di anni, le regole per procedere alla registrazione sono un po’ più severe. Pur mantenendo la regola del first come, first served, InterNIC esige che il richiedente garantisca espressamente che la registrazione del domain name viene fatta in buona fede, non interferisce con diritti di terzi e non persegue fini illeciti. La Registration Authority Italiana ha anche stabilito che il nome a dominio “non deve essere fuorviante né indurre casi di possibile ambiguità con altre entità”. Gli enti deputati alla registrazione, dal canto loro, continuano a non eseguire alcun controllo sull’eventuale esistenza di diritti di terzi sul nome richiesto e a esonerarsi da ogni responsabilità per conflitti che dovessero sorgere. Sono state, comunque, previste delle procedure per la composizione, in via arbitrale, di eventuali controversie.
Intanto, dagli Stati Uniti giunge la notizia che, entro il mese di marzo, dovrebbero essere ufficializzate le nuove estensioni “.arts”, “.firm”, “.info”, “.nom”, “.rec”, “.shop”, “.web”; il Consiglio dei Registri sta decidendo i criteri da seguire nell’affidare il mantenimento dei registri per i nuovi nomi di dominio.
In attesa di un intervento del legislatore per disciplinare le modalità di registrazione dei domain names, ci si deve regolare secondo le leggi vigenti in materia di diritto d’autore, repressione degli atti di concorrenza sleale, tutela del marchio e dell’insegna, adattandole alle peculiarità della Rete.
In questo senso si è opportunamente orientata la giurisprudenza italiana che sinora ha avuto occasione di pronunciarsi sul tema. La casistica è alquanto scarsa, anche perché la maggior parte delle controversie viene composta in via transattiva (cioè, per lo più accontentando, almeno in parte, le richieste dei cyber-squatters, pur di evitare i tempi e le incognite legate a una controversia giudiziale) o attraverso le procedure arbitrali offerte dalle Registration Authorities; i principi sinora enunciati, comunque, consentono un certo ottimismo tra gli operatori del settore.
Il Tribunale di Roma, con ordinanza emanata il 2 agosto 1997, ha concesso a favore della Sege S.r.l., titolare della testata di annunci economici Portaportese, un provvedimento d’urgenza col quale ha inibito alla Starnet S.r.l. l’uso del dominio “www.portaportese.it”. Da questo sito Internet, infatti, la Starnet offriva in rete servizi analoghi a quelli offerti dal noto periodico romano, inducendo in errore il pubblico.
Queste stesse considerazioni hanno indotto il Tribunale di Milano, sempre nell’agosto 1997, a inibire alla Logica S.r.l. l’utilizzo del dominio “Amadeus.it”, in quanto confondibile con il marchio Amadeus e con il domain name “Amadeus.net”, appartenenti alla Amadeus marketing. I giudici milanesi hanno riconosciuto per la prima volta un’affinità tra la figura dell’insegna e il domain name, “in quanto il sito stesso configura il luogo (virtuale) ove l’imprenditore contatta il cliente e con esso conclude contratti”; contestualmente, hanno negato che il suffisso “.it” possa avere capacità distintiva, identificando unicamente la localizzazione geografica propria del server sul quale il sito è ospitato.
In parziale accoglimento del reclamo presentato dalla Logica S.r.l., con ordinanza del 18 settembre 1997, l’ambito dell’inibitoria è stato poi limitato all’utilizzo del sito Internet per lo svolgimento di attività simili a quelle proprie dell’Amadeus Marketing (offerta di servizi turistici). In un certo senso, è stata suggerita l’opportunità di far prevalere il principio generale vigente in materia di marchi – per cui il medesimo nome può essere registrato da soggetti diversi, purché non sussista per il pubblico il rischio di confusione dell’attività svolta o dei prodotti offerti – sulla cosiddetta regola dell’univocità, stabilita dai regolamenti delle Registration Authorities, secondo la quale, indipendentemente dalla categoria di appartenenza, a ogni domain name può corrispondere solo un’entità.
La possibilità di armonizzare le normative da questo punto di vista è comunque solo parziale, non essendo in ogni caso tecnicamente possibile procedere alla registrazione di due domini identici e col medesimo suffisso, anche in assenza di qualsiasi confondibilità tra i soggetti richiedenti.
Il Tribunale di Bari, con ordinanza del 24 luglio 1996, ha respinto la richiesta della società commerciale Teseo S.p.a. di inibire alla Teseo Internet Provider S.r.l. l’utilizzazione del domain name “teseo.it”, ritenendo insussistente il rischio di confusione, dal momento che il nome Teseo, utilizzato da numerose imprese italiane, non è dotato di originalità; le due società, peraltro, svolgevano attività molto diverse.
In considerazione dell’assenza della qualità di imprenditore nell’utilizzatore del domain name, il Tribunale di Modena, con ordinanza del 23 ottobre 1996, ha escluso che l’utilizzo del dominio “Foroit” per identificare un sito destinato a ospitare gratuitamente una conferenza in rete rivolta ad avvocati e procuratori legali potesse configurare un atto di concorrenza sleale nei confronti della società editrice della rivista giuridica Il Foro Italiano (nota anche nella forma abbreviata “Foro it.”). Ha comunque accolto la richiesta della casa editrice di inibire in via d’urgenza l’uso del dominio in questione, ritenendo esser stato violato l’art. 100 della legge sul diritto d’autore, che vieta la riproduzione del titolo di un’opera ed esser stata lesa l’identità personale della ricorrente “che ha il diritto di non vedersi riferito il contenuto del sito Foroit perché, almeno parzialmente, estraneo al carattere propriamente scientifico della rivista”.