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Decreto Urbani, niente galera per chi scarica?

09 Giugno 2004

Decreto Urbani, niente galera per chi scarica?

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Lo spauracchio del carcere per chi scarica opere vincolate da Internet potrebbe rivelarsi una bufala. Una lettura attenta della legge Urbani sembra indicare che la minaccia del sole a scacchi sia più che altro una curiosa forma di terrorismo psicologico

Il ritornello di tanti articoli e discussioni online e offline è lo stesso: chi scarica musica e film da Internet va in galera. Perlomeno così ci è stato detto, e così è parso di capire anche a me. Ma stando ad alcuni esperti di settore, forse è soltanto quello che vogliono farci credere, così ci viene la strizza e la smettiamo di scaricare tutto lo scaricabile e anche di più.

La versione convertita in legge del decreto Urbani contiene numerosi commi che modificano leggi precedenti. Di conseguenza, il senso della legge Urbani è comprensibile (nei modesti limiti di comprensibilità del legalese) soltanto dopo un attento lavoro di “copia e incolla” di queste modifiche. Per fare un paragone informatico, la legge Urbani, come del resto quasi tutte le leggi italiane, è una patch, non una release completa e autonoma.

Per mia e vostra fortuna, i copiaincollatori di Interlex hanno preparato una versione già “patchata” del testo della legge Urbani che rende un po’ più chiare queste modifiche, in particolare quelle che interessano i commi 1 e 2 dell’articolo 171-ter della legge 22 aprile 1941 n. 633 (già modificata in altre occasioni) e che secondo una diffusa credenza estenderebbero la reclusione anche a chi fa peer to peer di opere vincolate dal diritto d’autore. Analizzando con calma queste modifiche emergono alcune considerazioni interessanti.

Come è noto, la legge Urbani modifica il comma 1 della legge 633 sostituendo le parole “a fini di lucro” con “per trarne profitto”. È una delle variazioni più vivacemente contestate, tanto da mettere in ombra la parte iniziale del comma, che è invece importantissima perché delimita i casi nei quali è applicabile la reclusione: “È punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque per trarne profitto…”. Segue una lista di comportamenti puniti, fra i quali rientrano la duplicazione, riproduzione, trasmissione o diffusione abusiva in pubblico, anche parziale, di opere dell’ingegno: in altre parole, il file sharing e la copia di film e musica.

L’altra modifica informaticamente importante introdotta dalla legge Urbani riguarda il comma 2 della medesima legge 633, che ora punisce “con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire” anche “chiunque […] in violazione dell’art. 16, per trarne profitto, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, o parte di essa”.

Sembra insomma molto facile finire dietro le sbarre facendo peer to peer.

Comma profondo

Guardando bene il testo della legge, tuttavia, si nota che secondo il comma 1 la reclusione scatta soltanto se si verificano contemporaneamente due condizioni: l’“uso non personale” e il “profitto”.

Il requisito dell’uso “non personale” introdotto nel comma 1 fa una bella differenza. Normalmente, infatti, chi scarica o copia un film o un’altra opera dell’ingegno lo fa per uso personale. Se per esempio mi scarico o copio una puntata di Star Trek e me la guardo e la tengo per me, si configura un possibile “profitto”, perché risparmio la spesa necessaria per fruire dell’opera originale, però non si verifica un “uso non personale“. E siccome il comma 1 si applica solo se si verificano entrambi i requisiti, non vado in galera. Se però scarico o copio la puntata e poi la passo ad altri, ho realizzato un “uso non personale” insieme a un “profitto” e quindi ho avuto un comportamento passibile di reclusione.

La reclusione prevista dal comma 2 riguarda invece specificamente chi offre a terzi un film o un brano musicale, non chi lo scarica, e anche in questo caso c’è il requisito del “profitto”. Se per esempio distribuisco tramite un sito Web o un circuito P2P un film vincolato dal diritto d’autore e non ottengo nulla in cambio, non ho alcun “profitto” e quindi anche in questo caso non vado in prigione senza passare dal via, come invece si sostiene in giro. Se invece immetto in un circuito di scambio un film vincolato e lo faccio allo scopo di poter scaricare altre opere vincolate, ho abbinato distribuzione e profitto, per cui mi conviene preparare pigiama a righe e torta con lima incorporata.

Sembra di capire, insomma, che salvo interpretazioni estreme in tribunale, la legge Urbani preveda il carcere soltanto per uno scenario specifico del file sharing amatoriale: lo scaricamento con contemporanea offerta in condivisione allo scopo di ottenere in cambio qualcosa, per esempio un altro film che ci interessa. In questo senso, non tutti i circuiti di scambio sono uguali. Per esempio, in Bittorrent è normalmente impossibile scaricare senza offrire; in WinMX o eMule, invece, non c’è legame obbligato fra download e upload, anche se spesso è necessario accordarsi specificamente con altri utenti per poter “saltare la coda” e scambiare materiale di reciproco interesse (“ti lascio scaricare Selen se mi offri Kieslowski”); lo stesso vale per altri canali di diffusione di opere vincolate, come i siti Web e FTP.

È abbastanza chiaro che qualsiasi circuito di scambio che stabilisca una ratio in stile BBS, ossia un rapporto fra materiale offerto e materiale scaricato (dove per “materiale” intendo opere non liberamente distribuibili), può ricadere nei casi penali previsti dalla legge Urbani. Anche se la ratio non è stabilita da una regola formale, si può ipotizzare che vi sia un profitto se chi immette un file in un circuito P2P è solito scaricare dal medesimo circuito, o è facilitato nello scaricamento se condivide. Ed è indubbio che se ci sono palesemente di mezzo dei soldi, come nel caso dei CD e DVD pirata facilmente reperibili agli angoli delle strade di tante città, la reclusione scatta eccome. Ma chi scarica e basta, o chi offre e basta, senza ottenere nulla in cambio, sembra essere al riparo dalla gattabuia (anche se non mancano forti pareri contrari). Mamme d’Italia, tranquillizzatevi e non staccate la spina all’ADSL: vostro figlio non avrà l’abbronzatura a quadrettoni, quest’estate.

Va forse ribadito, prima di cadere in facili tentazioni, che queste distinzioni non implicano che con il semplice download o con il file sharing “disinteressato” si è nella piena legalità: significano soltanto che se l’interpretazione è corretta, come peraltro mi confermano fonti autorevoli in campo giuridico, non si va in carcere se ci si limita a scaricare per uso personale, senza ridistribuire e senza chiedere nulla in cambio. Resta comunque la violazione del diritto d’autore, con conseguente rischio di un’azione legale civile, ma anche con l’avvento della legge Urbani le fauci della prigione sembrano assai meno onnivore di quanto si è proclamato in varie sedi. Visti i pareri contrastanti anche fra gli addetti ai lavori, l’esattezza dell’interpretazione che ho esposto qui sarà confermata o smentita soltanto alla prova dei fatti, quando il primo dodicenne verrà trascinato in tribunale per aver messo WinMx sul PC di papà.

Questione di fiducia

Tutto questo non significa certo che il file sharing può tornare allegramente ai fasti pre-Urbani, o che un paese che vuole progredire culturalmente e tecnicamente può convivere con una legge che prevede un bollino SIAE sui file. Una ulteriore revisione della legge non è rinviabile soltanto perché la galera è meno facile di quel che si crede.

Piuttosto, il contrasto fra le conseguenze penali effettivamente previste dalla legge e quelle ben più vaste e drammatiche annunciate al suo esordio sembra indicare un uso schiettamente terroristico dello strumento legislativo. Fa niente se la legge non prevede davvero il carcere facile: l’importante è farlo credere, così il popolo della Rete si spaventa. Può darsi che funzioni, ma non è certo così che si crea fiducia nel cittadino.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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