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Decentriamo l’insegnamento

09 Aprile 1998

Decentriamo l’insegnamento

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La "maestria" degli insegnanti, la responsabilizzazione creativa degli allievi e le risorse di conoscenza distribuite in rete sono le difficili chiavi per la rivoluzione didattica.

Mitchel Resnick si occupa dell’apprendimento infantile nella sala dei comandi delle nuove tecnologie del Massachusset Institute of Technology. Allievo del discusso guru delle tecnologie dell’apprendimento Seymour Papert, ha dato alle stampe, per i tipi della “MIT Press”, un libro dal titolo “Turtles, termites and Traffic Jams”, nel quale espone la sua teoria del pensiero decentrato, formula che non può non farci ricordare il pensiero laterale di DeBono. E se entambe le teorie si somigliano nell’intento di mettere in discussione le convinzioni tradizionali dell’apprendimento, le similitudini finiscono qui. Quello di Resnick è infatti il modello di un progettista, un “ingegnere dell’apprendimento” e non di un filosofo.

Il decentramento nasce con il modo di “pensare per reti” e con Internet in particolare e la sua logica prevede un uso delle tecnologie informatiche diverso da quello utilizzato in genere, anche oltr’oceano, che non fa che perpetuare (a volte rendendolo addirittura più farraginoso) il metodo didattico tradizionale. Si tratta, secondo questo studioso, di passare da un insegnamento centralizzato, caratteristico del modello a cascata dal docente al discente, ad uno in cui sempre più responsabilità sull’apprendimento vengono attribuite a chi impara.

Non si tratta – dice Resnick, che nello scrivere sta pensando soprattutto alla popolazione delle scuole, di lasciare i ragazzi in balia di se stessi, anche se occorre abbandonare il tradizionale controllo ossessivo esercitato dai cattivi insegnati su tutto il processo di apprendimento. Occorre fare qualcosa di maggiormente simile a “preparare il suolo”, creando così le condizioni per lo sviluppo autonomo della vegetazione.

Come si è riusciti ad accettare l’importanza della diversità nei sistemi ecologici – dice Resnick – bisogna ora che si comprenda la necessità della diversità nei sistemi educativi.

Decentramento e learning organization

Non sono considerazioni così rivoluzionarie e chi si è occupato di apprendimento organizzativo e dei modelli di Learning Organization auto-organizzate, conosce queste problematiche. Noi stessi, nelle pagine di SestoPotere, abbiamo ripetutamente rilevato le difficoltà e la sfida professionale che l’attività di progettazione e monitoraggio dei processi di comunicazione e apprendimento nei sistemi – quella che qui è stata individuata nella metafora della “preparazione del terreno” – comporta, ma anche i suoi vantaggi. E non basta certo dire “l’insegnamento tradizionale è sbagliato” per evitare il rischio di creare fratture con un passato, che tanto quanto si proponeva di arginare l’ignoranza bruta, in cambio di un futuro di dilettanti creativi, ma analfabeti. Occorre sposare un tale modello solo in quei sistemi predisposti, preparati e convinti ad abbandonare salde e confortevoli sicurezze, per procedere, camminando su un filo senza rete, verso una meta ancora invisibile, per la sola consapevolezza che quello che abbiamo lasciato non ci convinceva. Bisogna comunque rinnovare innanzitutto i sistemi di feedback, primo fra tutti la valutazione.

Proprio nelle organizzazioni, infatti, e nella formazione professionale, dove il decentramento potrebbe essere sostenuto dalla motivazione occupazionale, la teledidattica viene progettata in modo da impedire la diversità e il decentramento. Ancora ci si rifiuta di comprendere come la risorsa principale sia costituita, non tanto dal software didattico, quanto dal gruppo sottostante (quello connesso in rete) e quello collaterale (tutor, insegnanti, colleghi, responsabili e soprattutto gli altri partecipanti ai corsi e al processo di apprendimento in genere) e si continua ad investire molto in tutorial e nulla in professionisti dell’apprendimento e dei gruppi. È il prezzo che bisogna pagare alla ola della miracolistica multimediale!

Oltre il libro di testo

Per una volta, poi, finiamo parlando proprio di scuola, il primo posto su cui bisognerebbe puntare per sviluppare la formazione e l’apprendimento. Una delle cause della caduta di professionalità scolastica è costituita proprio dalla tecnologia, una particolare tecnologia, neppure così antica nota come libro e carta stampata in genere. Platone non voleva sentire parlare di carta scritta, ritenendo che solo il rapporto interpersonale potesse produrre apprendimento. Aristotele poi consentì alla carta di far posto all’insegnamento più volgare, quello essoterico, chiamato così perché diretto all’apparenza e non alla sostanza interiore, come nel caso del insegnamento esoterico. Restando su profili più consueti, si tratta dello stesso rapporto noto a chi insegna e a chi impara un mestiere, all’artigiano e al suo apprendista, i quali sanno che solo mostrando come si lavora e soprattutto consentendo una graduale messa in pratica degli apprendimenti, e non da un libro, si può imparare. Nelle nostre scuole il rapporto si è invertito e così l’insegnante neppure più usa il libro per ampliare l’orizzonte e la varietà dell’insegnamento, ma vede se stesso come un interprete, un facilitatore della lettura del libro di testo. Il docente-tipo non insegna, fa il presentatore svogliato. Occorrerebbe invece che insegnasse a fare, che promuovesse la critica dei discenti e con essa la messa in pratica delle capacità intellettuali e delle abilità.

Bisogna abolire – e non è una provocazione, ma una proposta concreta – l’istituzione del libro di testo, la diffusione di biblioteche ampie e agevoli e la sostituzione dei materiali di riferimento – spesso sempre i soliti – con dotazioni multimediali accessibili in rete. Apple ha introdotto dei sistemi scolastici molto validi, costituiti da un server d’istituto con una serie di nodi in ogni aula costituiti da workstation a disposizione dell’insegnante. Queste, dotate di porte a infrarossi, possono scambiare bidirezionalmente comunicazioni e documenti con gli studenti della propria classe con gli insegnanti degli altri corsi e con insegnanti e studenti di altre classi, altre scuole, altre realtà o paesi. L’insegnante in questo modo può operare un monitoraggio del processo di apprendimento e concentrarsi meno sugli oggetti e più sul flusso. Si riduce in questo modo l’influenza delle idee preconcette sugli studenti nel momento della valutazione. La scuola stessa diviene un’esperienza allargata: presente anche al di fuori del tempo delle lezioni e aperta all’esterno anche nei momenti d’aula. Il computer inoltre incentiva l’elaborazione individuale e la messa in discussione delle proprie capacità proprio attraverso la sperimentazione, diversamente dal libro che inclina al voyerismo e all’impotenza di una conoscenza vissuta di terza o quarta mano. Quello che potrebbe scaturire proseguendo per questi territori è persino impossibile da immaginare, ma già il solo punto di partenza vale il rischio.

Una sfida impossibile?

Che cosa dunque lo impedisce? La insormontabile resistenza del mercato editoriale che su prodotti per le scuole, che in nessuna conoscenza nuova portano, limitandosi nei casi migliori ad aggiornare il pregresso, mentre una – meno redditizia – biblioteca di classe sì che favorirebbe la crescita culturale. La superstizione che per fare tutto ciò occorrerebbe un investimento massiccio, quando le sole spese per i libri di testo superano di gran lunga quelle in infrastrutture. Ma soprattutto la decadenza professionale e culturale e la scarsa disponibilità di uno zoccolo duro significativo del personale insegnante refrattario ad appropriarsi di nuove tecnologie, contrario a rinunciare alla comoda delega delle proprie fatiche al libro di testo e al programma didattico e per questo propenso alla strenua conservazione dell’impostazione scolastica tradizionale.

Quali speranze dunque? Triste a dirsi, se non nasce un’imprenditoria scolastica privata innovativa (la realtà privata attuale è in molti casi il bacino delle risorse reflue e demotivate in mano unicamente a preoccupazioni sui profitti) in grado di misurarsi con la concorrenza dei fondi pubblici e con la difficile rottura rispetto alla tradizione, capace di trovare risorse insegnanti preparate e volenterose, in quanto disposte ad accettare trattamenti retributivi difficilmente all’altezza di quelli statali… se non nasceranno scuole nuove rimarranno solo parole, su carta o su video come queste, ma nessun fatto, niente apprendimento, né crescita.

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