Peter Collingridge è un veterano dell’editoria digitale. Nel 2008 ha fondato Enhanced Editions, startup che progettava e produceva ebook multimediali, per poi trasformarla in piattaforma online in cui raccogliere e analizzare dati per il marketing editoriale, una funzione tanto importante quanto secondo lui trascurata in molte case editrici.
La sua storia e le cose che scrivo in questo articolo – appunti più che un pensiero completo e formato – sono tratte principalmente da questo suo intervento nell’ultima edizione di Books in Browsers, che consiglio di vedere per intero (lo trovate anche in fondo a questa pagina).
Collingridge racconta di come – dopo aver presentato ai suoi potenziali clienti le caratteristiche e le possibilità offerte della sua piattaforma – gli venisse spesso risposto:
In pratica quello che la tua applicazione fa è mettere in luce quando faccio male il mio lavoro e offrire al mio superiore una ragione in più per licenziarmi.
La conclusione cui è giunto – basata sulla sua esperienza e sui molti tentativi fatti – per quanto amara sembra essere inevitabile:
Secondo Collingridge gli editori preferiscono prendere decisioni e delineare strategie (di marketing, ma anche di prodotto, o in senso ancora più generale) basandosi sulle proprie convinzioni personali, anche se sbagliate o in nessun modo legate al reale andamento delle cose.
Perché accada è poco chiaro. Possiamo dire che non si tratta soltanto di un’opinione di Collingridge e non riguarda unicamente la scelta di lavorare coi dati o meno. Ad esempio, Rob Eagar su Digital Book World spiega:
Raramente i testi per il marketing che molti editori realizzano per i loro libri vengono scritti dall’ufficio marketing. Al contrario, il compito di creare questi contenuti estremamente importanti è spesso assegnato a un editor con scarsa esperienza di marketing, o a un copywriter freelance.
Tornano in mente le parole di Jeff Bezos:
In generale, è così, e funziona (il successo di Amazon è un’ottima controprova). Le decisioni devono essere basate su dati reali. Utilizzando i dati al posto delle sensazioni si possono centrare obiettivi fondamentali: capire chi sono i nostri utenti, chi i potenziali utenti e chi invece non stiamo intercettando in alcun modo. Soprattutto, grazie ai dati è possibile ascoltare e comprendere quali sono le loro necessità – in altre parole, come è formata e come si sviluppa la domanda – e, importantissimo, misurare il successo o l’eventuale insuccesso delle nostre iniziative: capire cosa ha funzionato e cosa no, e ricominciare.
Attingere a questa conoscenza – la conoscenza è sempre potere – dovrebbe essere particolarmente importante per l’industria editoriale: un mercato guidato dall’offerta più che dalla domanda, costruito sull’ipotesi – sulla speranza – che un certo prodotto possa incontrare i desideri del pubblico, dovrebbe accogliere la disponibilità di dati certi con sollievo e impazienza, non con fastidio.
Se – al contrario – si decide consapevolmente di non cogliere questa opportunità resta un’unica alternativa: prepararsi alla certezza di non poter essere bravi abbastanza.