Lo so, l’abbiamo già ribadito mille volte. L’innovazione (quella autentica) non si realizza mediante gli obblighi di legge in quanto tali bensì attraverso la predisposizione e la promozione di un’ecosistema favorevole.
Tuttavia, a volte bisogna rifarsi all’adagio a mali estremi, estremi rimedi e accettare che, nel caso di particolari resistenze, non resti che lo spauracchio della scadenza perentoria e della relativa sanzione. Quando non basta dire devi fare X e nemmeno devi fare X entro il giorno Y, ma bisogna sempre aggiungere se non ti adegui subirai la sanzione Z.
Così è stato anche nel tanto discusso caso degli open data pubblici. Dopo circa due anni dall’entrata in vigore del contorto meccanismo dell’open by default e dei principi della cosiddetta trasparenza della Pubblica Amministrazione, che sostanzialmente definivano le tipologie di dati da esporre obbligatoriamente, sono ancora tanti, troppi, gli enti che non si sono attivati. D’altronde, l’open by default agisce su ciò che è stato pubblicato (e per pubblicato si intende online) cercando di sfruttare positivamente l’inerzia delle PA nell’utilizzare licenze open; ma se le PA i dati se li tengono ben chiusi nei faldoni, lo scaltro meccanismo va a vuoto. Allora non resta che stabilire una data perentoria dopo la quale far scattare delle sanzioni.
Questa deadline, come stabilito dal decreto legislativo 90/2014 convertito in legge 114/2014 (articolo 24-quater), cadeva proprio in questi giorni, lunedì 16 febbraio; le sanzioni per gli enti trasgressori sono definite dall’articolo 19, comma 5, e consistono nel versamento di una somma compresa tra i mille e i diecimila euro.
A chi tocca ora prendere provvedimenti per rendere effettive queste disposizioni? L’Agenzia per l’Italia Digitale, che su questi temi svolge solo una funzione di monitoraggio, formazione e indirizzo delle PA, si è preoccupata di rendere pubblica nei mesi scorsi una lista delle amministrazioni inadempienti. L’attività più strettamente di controllo e irrogazione di sanzioni spetta invece all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), perché in effetti la poca trasparenza e la corruzione spesso vanno a braccetto.
Conclude così Giorgio Mancosu nella sua lucidissima analisi pubblicata nei giorni scorsi:
Sulla via italiana all’Open Data, già soggetta all’occhio vigile del quisque de populo (grazie all’accesso civico) e alla regia dell’AgID, da oggi troveremo anche “i poliziotti” dell’Anac. Resta da vedere se ciò basterà ad imprimere sufficiente effettività all’art. 52 del CAD, oppure se anche le pratiche Open Data saranno vissute dalle amministrazioni come l’ennesimo adempimento da soddisfare solo superficialmente o, ancor peggio, da eludere con destrezza.
In effetti, nonostante i grandi passi fatti in soli due/tre anni, di lavoro su questo fronte ce n’è ancora da fare. Un lavoro che, dalla mia ottica, parte anche dalla divulgazione e sensibilizzazione.
Il caso ha poi voluto che questa scadenza cadesse nella settimana della giornata internazionale dedicata ai dati aperti, l’Open Data Day. Quindi domani, se avete la fortuna di essere in una delle città (in verità un po’ pochine rispetto all’anno scorso) che organizzano un evento, passate a farvi un po’ di cultura. In alternativa potete seguire quasi tutto in streaming attraverso il sito ufficiale dell’evento o seguire l’hashtag #ODDIT15.
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