Una delle presentazioni più interessanti al recente Web 2.0 Expo di San Francisco è stata certamente quella di David Sifry. Il boss di Technorati (noto motore e sito di monitoraggio della blogosfera) ha illustrato in dettaglio l’andamento del Live Web, l’ultima edizione del rapporto trimestrale che fotografa al meglio il comportamento degli utenti e la loro produzione di contenuti. Se ne ricavano utili indicazioni e tendenze, insieme alle immancabili sorprese. Per leggere il tutto in un contesto più ampio, abbiamo realizzato (insieme a Emanuele Quintarelli) un’intervista con lo stesso Sifry, mentre si aggirava tra gli stand dell’area espositiva in compagnia di Julie Blaustein, co-manager di Photobucket, poi coinvolta nella chiacchierata. Eccone di seguito la trascrizione italiana (disponibile anche nell’audio originale).
Emanuele Quintarelli: Qual è l’importanza del tagging? Per le foto, per i video, o per la navigazione in genere? E come mai la gente usa così tanto i tag?
David Sifry: Credo che in buona parte sia perché vogliono essere cercati e individuati. Talvolta c’è chi non vuole essere trovato e non usa il tagging, e gli sta bene così. Mette le cose online giusto per farle vedere agli amici, o al papà e alla mamma, e non per pubblicare chissà cosa e farsi trovare. Un sacco di gente però vuole condividere i materiali, incontrare gente nuova, produrre qualcosa di espressivo e trovare cose che li interessano a loro volta. Ovviamente con le foto o i video abbiamo dei contenuti spesso poco chiari, dove è difficile capire chi sia il soggetto o la situazione di una foto soltanto guardandola, non è vero? Così l’autore fornisce qualche utile informazione in più. Ancor più importante, in sostanza è un gesto genuinamente egoista, che rivela la voglia di essere trovati facilmente in qualche modo o tramite un motore di ricerca. E per tutta questa gente, che va crescendo in maniera esplosiva, il tagging è un’ottima soluzione, perché consente loro di raggiungere materiali interessanti, di esporsi e collegarsi con altri con cui condividono degli interessi, li aiuta a trovare cose nuove.
EQ: Ritieni che il tagging sia la soluzione per risolvere il problema dell’information overload?
DS: Credo sia una soluzione, non l’unica soluzione. È troppo semplicistico pensare che possa esistere una sola soluzione a simili problemi. Google fa un incredibile lavoro di classificazione, nell’analisi dei link, nel selezionare tramite parole chiave che non usano affatto i tag. E credo che Google operi assai bene in tal senso, giusto? Ci siamo però accorti che all’interno del Web esiste una dimensione temporale e un’altra sociale, e vista la sua facilità d’uso, il tagging ha preso a farsi spazio nella coscienza collettiva mainstream come strumento capace di organizzare il contenuto e creare connessioni, mettendo insieme tutta la diversità della produzione mediale. Ad esempio, voi in questo podcast metterete il tag Web 2.0 Expo, e se qualcuno scatta una foto a me e Julie qui, la contrassegna con Web 2.0 Expo e su vari siti altri parleranno di questo evento e avranno altri materiali. Così quando qualcuno raccoglie insieme tutti i media prodotti con quel tag, dal vivo e in tempo reale, inizia a creare un’esperienza completamente nuova e diversa.
Bernardo Parrella: È importante notare, lo dicevi poco fa nella presentazione, come la gente non si esprima solo inserendo dei post, ma anche e sempre più con la condivisione, tramite una forma di condivisione che va imponendosi come attività mainstream.
DS: Certo, e forse Julie può parlare meglio di tutto ciò, perché ha per le mani un bacino più che enorme di materiali condivisi.
Julie Blaustein: Photobucket ha circa 40 milioni di utenti registrati che si danno una gran daffare, e c’è molta condivisione dei vari materiali, con immagini e video che vengono rilavorati in quel che definiamo mash-up remix e che poi sono condivisi su tutto il Web. È uno spazio dove parcheggiare le tue cose, divertirti a rimescolarle con quelle altrui e diffonderle altrove. Ogni giorno vengono caricati circa 8 milioni di immagini e 45.000/50.000 video, con circa 30 milioni di ricerche quotidiane, perché le persone cercano materiali da poter riusare liberamente per i propri blog o altre creazioni. Abbiamo un’enorme area per la classificazione, con tool specifici per fare ricerche efficaci, upload i contenuti su MySpace o sui vari blog, e cose simili.
BP: Cos’è allora che vi differenzia da YouTube o MySpace? Qual è la specialità di Photobucket?
JB: Principalmente abbiamo ragazzi, famiglie, è un ambiente casereccio, fatto in casa, ma non infantile. Il nostro successo sta nella semplicità; ad esempio, quando si fa l’upload esce subito il link diretto a ciascuna foto e video, per lo sharing o quant’altro.
DS: È l’estrema facilità del tutto.
BP: Da qui la domanda: cosa succederà quanto diventeremo tutti produttori? Quando l’intelligenza collettiva della Rete diventerà così mainstream?
DS: Direi che siamo già a questo punto. È quel che accade oggi. Come afferma Neal Stephenson: «Il futuro è già qui, solo che è distribuito in maniera squilibrata». Lo conferma un recente studio del Pew Internet per cui l’11% degli americani (non degli americani online) crea, partecipa o condivide materiali su Internet.
BP: Si, ma è un po’ diverso in Europa, o in Italia, dove la gente non partecipa così tanto e spesso preferisce guardare.
DS: Nella mia esperienza è solo questione di tempo. Nel senso che se consideriamo la Francia, lì siamo abbastanza vicini a quanto accade negli Stati Uniti, la Germania forse è un paio d’anni indietro, l’Italia si può dire che sia 18 mesi indietro, mentre la Spagna va crescendo. Quel che il nostro studio periodico rileva, analizzando i trend in tutte queste lingue, è il momento in cui si trovano nella curva di crescita. Perché in sostanza non si tratta di chiedersi se accadrà o meno, ma piuttosto quando nei vari Paesi si arriverà a una partecipazione diffusa.
BP: Progetti per qualche progetto o sbarco in Europa?
DS: A maggio sarò a Saragozza, in Spagna, per un convegno. Ma una volta sul Web, per definizione sei globale. Noi fin dall’inizio abbiamo posto parecchia attenzione nel rendere internazionali i nostri strumenti. Se vai su Technorati.com e inserisci un ricerca ristretta all’Italia, funziona bene, no?
BP: Sì, molta gente usa e apprezza Technorati in Italia.
DS: Sono contento, perché non parlo italiano, e ciò mi fa piacere. Ovviamente puntiamo a far crescere il business con presenze locali, anche se per ora la linea di fondo rimane quella di creare un’esperienza fenomenale per l’utente. E quando riesci a garantire ciò, trasferirla in altre lingue è relativamente semplice. C’è ancora molta strada da fare. Negli ultimi mesi abbiamo lavorato sodo per rendere il nostro sito sempre più semplice, più facilmente comprensibile, in modo che abbia senso per la gente. Con l’obiettivo di fornire loro un’esperienza di livello davvero stellare. E con il continuo perfezionamento di questo modello-base, possiamo poi replicarlo in altre località.