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Da grande voglio fare il Sushi Consultant

27 Giugno 2006

Da grande voglio fare il Sushi Consultant

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Cresce la moda del sushi: sapeste quanta tecnologia si sta infilando nel pesce crudo...

Ho scoperto che esiste un mestiere straordinario: il Sushi Consultant. Con l’imprinting che ci hanno lasciato i tempi della Bolla sarebbe umano pensare si tratti di un consultant in multilayered technology; ma prenderemmo decisamente un granchio (kani-kama). Anche se nigiri e maki sono senza dubbio ottimi esempi di buona tecnologia applicata per strati, il Sushi Consultant è una figura che aiuta imprenditori o ristoratori ad accedere al mondo della cucina giapponese, sia dal punto di vista imprenditoriale/gestionale, sia dal punto di vista della preparazione del personale, fino alla costruzione di attività in franchising.

Data la rapida diffusione della moda del Sushi, tutta una serie di imprenditori hanno nasato l’affare e molti ristoratori stanno pensando di riconvertirsi a questo tipo di cucina (salvo poi, tra due anni, trasformarsi in una baita valdostana: l’importante è riempire il locale e fare i margini). La parte più delicata è la formazione professionale del cuoco: un sushi chef di quelli veri passa da 5 a 10 anni come apprendista in un ristorante, imparando a conoscere a fondo ogni pesce, come trattarlo, come sfruttarlo esaltandone a fondo le caratteristiche. Ed esce come membro di una elite culinaria. Questo fa sì che un cuoco vero costi un sacco di soldi e che la pipeline sia lunga – impedendo una rapida risposta dal lato dell’offerta ad una crescente domanda mondiale di pesce crudo. Qui entra in ballo il sushi consultant, pronto a passare il suo know how e a mettere in grado, in qualche mese (l’ho visto succedere in un ristorante di amici) il personale di preparare una serie di piatti di qualità abbastanza ragionevole.

Per arrivare più in fretta: il sushi robot

Le mode gastronomiche sono però effimere e le finestre strategiche per entrare per tempo sul mercato sono spesso molto strette. Per questo motivo (e per una naturale riluttanza a pagare gli onorari di un qualsiasi consulente, sushi o meno che sia), molti operatori hanno espresso una domanda di soluzioni alternative per aprire in fretta un ristorante giapponese (o qualcosa di simile). L’alternativa esiste, ed è ovviamente tecnologica. Si è infatti da tempo sviluppato un mercato abbastanza vasto per apparati robot per le cucine dei ristoranti. Questi apparecchi industrializzano la produzione di sushi e preparazioni assimilabili, affidando a una macchina il delicato compito di costruire il prodotto.

Nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di presse che aiutano l’operatore (non si può chiamarlo cuoco) ad assemblare i rolls o a stampare pallottoline di riso. Resta il problema di affettare il pesce (trascurabile il dettaglio che si tratta dell’operazione mission critical); ma in qualche modo un pezzetto dibranzino e due verdurine dovrebbero essere in grado di ritagliarlo un po’ tutti… e speriamo in bene sulla scelta del pesce, auspicando di evitare una sogliola vintage o un tonno trattato all’anidride carbonica (che rende rossa la carne, rendendola più piacevole alla vista ma, potenzialmente, facendola apparire molto più fresca che in realtà).

È chiaro comunque che la presenza di questi macchinari in cucina debba restare abbastanza un segreto, per non fare brutta figura con la clientela – quella stessa che ordina un kaurismaki e spesso annega il sushi in tali concentrazioni di salsa di soya e wasabi da rendere indistinguibile un pezzo di “o-toro” da una fettina di besugo alla livornese).

Come tutte le mode gastronomiche, inoltre, anche la gastronomia giapponese sta effettuando la transizione dalle cucine dei ristoranti a quella delle case. La componente di abilità manuale di questa cucina non è trascurabile: se non avete un personal chef residente che cucina per voi e non avete tempo di iscrivervi ad un buon corso, potrete però trovare giovamento dall’uso di uno dei numerosi gadget presenti sul mercato, per stupire gli ospiti con porzioni di riso assemblate in strutture ragionevolmente solide, in grado di sopravvivere almeno qualche secondo.

Il Sushi Rfid (e un Teppamaki Usb in omaggio)

La tecnologia entra anche in un altro aspetto del sushi business, specificamente in soluzioni di fatturazione wireless per i sushi bar (più correttamente, Kaiten-zushi). In molti locali è infatti in funzione il tipico servizio di self service in cui i piattini scorrono su un tapis roulant o a bordo di vagoncini di simpatici sushi train. Tradizionalmente il prezzo della porzione è color-coded, ovvero indicato dal colore del piatto che la contiene. Al momento del conto, la cameriera esamina i piatti vuoti davanti al cliente, li raggruppa per colore e, con una semplice serie di moltiplicazioni ed addizioni, arriva al risultato finale. Con l’obiettivo di aumentare la rotazione dei posti diminuendo il tempo di processo del cliente (e di ridurre il numero di addetti nel locale) i piattini ora vengono dotati di chip Rfid incorporato, che trasmette via radio il prezzo unitario. Una rapida passata del lettore sulla pila di piatti e il conto è fatto.

Insomma, visto che mi piace il sushi, adoro cucinare, ci capisco di tecnologia e già faccio il consulente, da grande penso proprio che farò il sushi consultant. Nel caso mi andasse male, potrò sempre tornare alla tradizionale consulenza multilayered con innovative offerte promozionali; offrendo 12 porzioni di Uramaki autoprodotti per ogni giornata di consulenza marketing acquistata (o a scelta una chiavetta Usb a forma di sushi ed un simpatico sushi clock in omaggio).

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