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Cyber-rights, addio?

27 Settembre 2001

Cyber-rights, addio?

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La generica ondata anti-terrorista potrebbe spazzar via gran parte dei diritti civili elettronici.

“Abbiamo bisogno di una carta d’identità nazionale con tanto di fotografia e impronte digitali. E abbiamo bisogno di organizzare il relativo database, di modo che quando arrivi all’aeroporto e sostieni di essere Larry Ellison, prendi la carta, la inserisci nell’apposito lettore e lasci l’impronta il pollice, il sistema conferma che sei effettivamente Larry Ellison.”

Chi sarà mai a fare simili affermazioni? No, nessun funzionario della CIA o della Casa Bianca. Bensì proprio lui, il controverso boss di Oracle, Larry Ellison. Il quale si lancia benoltre, aggiungendo sulle colonne del San Josè Mercury News, che Oracle è pronta a donare il software per quel database e rendere così realtà la ID nazionale. Proposta che, a scanso di equivoci, nel recente passato ha occupato la mente di qualche deputato, per poi essere rapidamente messa in disparte. Ovvio il motivo principale: la tutela della privacy. Questione che però non sembra interessare più di tanto il nostro: “Bè, oggi queste preoccupazioni sulla privacy in realtà sono un’illusione. Dobbiamo soltanto lasciar andare l’illusione, non la privacy. Adesso basta fare un giro online per ottenere tutti i dati finanziari del nostro vicino, scoprire dove lavora, quanto guadagna, se ha pagato il mutuo in ritardo e tonnellate di altre informazioni personali.” Lo stesso dicasi, insiste Ellison, per lo shopping online: prima di procedere all’acquisto occorre fornire una buona dose di dati personali — certamente più di quelli che ci vengono chiesti al check-in dell’aeroporto.

Provocazioni? Nient’affatto. Sull’onda emotiva della tragedia nomi grandi e piccoli non vedono l’ora di offrire la risposta giusta, la loro. E spesso la tecnologia appare la soluzione più immediata, dimenticando quei fatti che ne hanno purtroppo evidenziato l’impotenza di fronte al furore umano. Non sorprende neppure il consiglio che l’apposita commissione governativa si appresta a fornire al Segretario dei Transporti: l’adozione di sofisticati sistemi di riconoscimento facciale agli aeroporti. Questi potrebbero così creare la mappa digitale del volto di una persona e tradurlo in complesse formule matematiche assolutamente uniche, al pari dell’impronta del fatidico pollice. Fa eco alla proposta il presidente di FaceIt Systems, tra i maggiori produttori di simili sistemi: ogni problema di privacy va risolto tramite precise norme che stabiliscano quali foto possano essere incluse nel database. Così sarà facile operare confronti tra comuni cittadini e incalliti criminali, giusto?

Peccato che in un caso e nell’altro si tratti quantomeno di tecnologia “potenzialmente invasiva”, come sostengono tra gli altri gli esperti di EPIC. Per tacere dei seri rischi di schedature generalizzate, problemi nella gestione dei dati e in generale del concretizzassi della società del controllo — soprattutto ai danni di minoranze e dissidenti. Nelle parole di Richard Stallman, responsabile della Free Software Foundation: “Quel che mi preoccupa è la massiccia sorveglianza di tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana: telefonate, email e spostamenti; si tratta di misure che stanno per essere proposte al di là della loro efficacia nel possibile raggiungimento degli obiettivi prefissati.”

Già, perché va aggiunto che nel ‘pacchetto anti-terrorismo’ di cui si discute in questi giorni al Congresso USA, si trovano altre disposizioni ad hoc. Come quelle che consentono, sulla base di generici mandati di perquisizione, l’immediato sequestro di dispositivi dotati di messaggeria telefonica e relativo ascolto da parte delle forze dell’ordine (attualmente occorre uno specifico mandato dell’autorità giudiziaria per poter procedere all’ascolto). La norma si applicherebbe anche alle email non lette presenti sul computer sequestrato, oltre che a quelle ancora disponibili sui server del provider cui è abbonato l’indiziato. Ancora, le intercettazioni telefoniche per indagini criminali avrebbero valore nazionale, potrebbero cioè essere passate ad altri apparati investigativi nonché alle autorità di qualunque stato senza ulteriori procedure, pratica ora vietata. Tali intercettazioni potrebbero proseguire fino al massimo di un anno, invece degli attuali 90 giorni. Last but not least, la reintroduzione del controverso Carnivore, sistema di monitoraggio online a disposizione dell’FBI.

E cosa dire della crittazione? È possibile si torni ai vecchi tempi pre-PGP, con divieti generalizzati o finanche l’imposizione di back door governative nell’encryption software. Anche perché un recente sondaggio riporta che 3 su 4 statunitensi vedrebbe con favore l’introduzione di severe norme al riguardo, mentre il 72 per cento riterrebbe tali norme “molto” o “in qualche modo” utili a combattere il terrorismo. Il 54 per cento vedrebbe con favore la riduzione delle comunicazioni crittate a vantaggio degli investigatori, pur se ciò dovesse danneggiare la privacy dei singoli o qualche attività commerciale. Intanto Phil Zimmermann, autore di PGP, ci ricorda un scenario tanto sacrosanto quanto inascoltato: “Soltanto i criminali avranno accesso alla crittazione qualora la tecnologia venisse criminalizzata.”

In altri termini, “dovrebbero essere gli utenti Internet quelli a preoccuparsi maggiormente,” ha dichiarato il direttore di ACLU, secondo il quale il pacchetto darebbe in sostanza all’apparato repressivo dei ‘mandati ombrello’ buoni per ogni genere di situazioni, oltre alla possibilità di monitorare l’uso del computer da parte di qualsiasi individuo. Ecco quindi la nascita di una coalizione d’opposizione assai variegata al cosiddetto “Anti-Terrorism Act of 2001”: si va da Gun Owners of America a Gay & Lesbian Task Force, da National Lawyer Guild a EFF, EPIC e le altre associazioni a difesa dei diritti online. Complessivamente oltre 150 organizzazioni, 300 avvocati e 40 ricercatori informatici hanno finora aderito all’appello diffuso sul web sotto il titolo “In Defense of Freedom“. Questo uno dei dieci punti in cui si articola il documento:
“Dobbiamo resistere alla tentazione di approvare delle norme nell’erroneo presupposto che qualunque proposta definita anti-terrorista possa necessariamente offrire un maggior livello di sicurezza.”

È intanto in piena attività il tam-tam elettronico (siti, bollettini, mailing list, newsgroup, catene email) per invitare a far pressione sui deputati affinché rivedano quantomeno le parti più controverse delle norme in discussione. Alcuni di questi, di fede democratica, ritengono “eccessivamente ampia” la definizione di terrorismo implicata in questo caso. Anche se da parte sua l’Attorney General John Ashcroft, nel corso dell’audizione davanti alla commissione giudiziaria della Camera, non ha mancato di definire il pacchetto “giusto ed adeguato”, insistendo sul fatto che gli “gli Americani non possono permettersi il lusso di ulteriori attese.” e che occorrano “armi moderne, non quelle antiche che abbiamo oggi.”. Nei prossimi giorni è attesa stesura definitiva del pacchetto, con annessa discussione e votazione in aula.

Centrale rimane comunque la questione sollevata da Richard Stallman: “Dopo migliaia di morti, avremo milioni di persone private delle libertà civili?”

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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