Confrontando due vocabolari cartacei, uno italiano e uno inglese, per esplorare le aree semantiche relative alle azioni del “curare un archivio documentale o museale”, probabilmente troveremmo ancora una sostanziale somiglianza tra i rispettivi termini individuati. Quello che in italiano conosciamo come la mansione professionale di un curatore/conservatore di biblioteca in inglese viene identificato dalla parola curation: sulla stessa radice latina vengono articolate le nuvole dei significati nelle due lingue, fino a ieri decisamente sovrapponibili. Anzi, diciamo fino a metà 2009, per amor di precisione.
Restare sintonizzati
Un anno e mezzo fa, a giudicare dalle ricerche su Google, il termine inglese curation ha subìto un primo slittamento semantico, arrivando a abbracciare nuovi significati per la comunità dei parlanti anglofona. Partendo dalla descrizione di una serie di azioni precise riferite alla selezione, all’organizzazione e all’archiviazione di materiali documentali, qualcuno ha cominciato a usare il termine “curation” in relazione al mondo giornalistico, lasciando intravvedere una possibile figura del giornalista del futuro come una persona che nei suoi metodi di lavoro ha saputo migliorare il confezionamento e la distribuzione delle news integrando nel proprio flusso lavorativo questi nuovi modi per ottimizzare e potenziare l’organizzazione interna della propria nuvola di fonti di informazioni e notizie.
Certo, da sempre il lavoro del giornalista è innanzitutto saper ascoltare e rendere fedelmente gli accadimenti. Di conseguenza la pratica del restare sintonizzati sulle agenzie di stampa, sugli altri giornali, sulle televisioni, su tutte le sorgenti di cronaca “dal territorio” rappresenta la quotidianità dei giornalisti professionisti e dei moltissimi altri comunicatori che oggi per lavoro producono informazione e curano la comunicazione anche dentro le aziende o le pubbliche amministrazioni, quella redazione ormai necessaria per ogni minima realtà sociale che abbia deciso di abitare sul web, con un blog o con un portale, con una pagina Facebook o un semplice flusso Twitter.
Spremere informazioni
Ognuno di noi in realtà per domare l’information overload ha nel tempo sviluppato strategie e prassi quotidiane. Dai servizi di bookmarking agli aggregatori di feed ai flussi di Twitter, con questi strumenti ormai classici abbiamo via via allestito e tenuto aggiornata l’abilità con cui sondiamo quella nuvola tutta personale del web sociale da cui spremiamo informazioni, l’insieme delle fonti a cui abbiamo deciso di esporci. Nel corso degli anni abbiamo coltivato una rete sociale che allo stesso tempo agisce come un filtro rispetto ai flussi informativi che ci colpiscono. Aggregare il feed di qualcuno che stimiamo professionalmente ci dà buone garanzie che dall’insieme delle conversazioni attuali vengano escluse informazioni irrilevanti, ovvero che dalla sensibilità di quel blogger o quel giornalista emergano segnalazioni interessanti, arricchite da qualche indicazione di contesto, una traccia d’interpretazione, un punto di vista.
Per facilitare l’iniziativa dei singoli e ottimizzare le disparate procedure di raccolta, categorizzazione e ripubblicazione dei flussi, negli ultimi mesi sono comparsi in rete servizi web che offrono all’utente un ambiente integrato per compiere esattamente le stesse funzioni sopra descritte, ma in maniera semplificata e coordinata. Ambienti digitali online dove poter radunare le migliaia di feed a cui siamo abbonati, i flussi di Twitter e quelli degli aggregatori, taggarli secondo criteri personali di rilevanza e di pertinenza, e infine re-inoltrare le notizie e i contenuti interessanti verso precise destinazioni – tipicamente i diversi social network – oppure impaginarli dentro contenitori graficamente strutturati, offerti alla lettura pubblica e re-immessi nel circuito della Grande Conversazione.
Padroneggiare l’overload
Se oggi cercate “curation” su Google, quello che vi viene restituito tratta sempre meno di biblioteche, accenna certo alle trasformazioni del lavoro giornalistico, ma soprattutto lascia emergere un interesse diffuso per quei content curation tool di cui una redazione professionale non può più fare a meno, e che tornano utili anche per chi per lavoro ha comunque bisogno di “pettinare” e in seguito reimpaginare e rendere visibili specifici flussi informativi. Questi nuovi strumenti per la cura e la pubblicazione dei flussi derivano da approcci e tecnologie diverse, che però han saputo convergere verso quello che effettivamente oggi risulta necessario per padroneggiare l’overload informativo, avendo ben presente le caratteristiche che intendiamo privilegiare nella gestione del nostro ambiente personale di conoscenza, ovvero il personal knowledge management.
Questi ambienti digitali per la cura dei contenuti sono sorti a esempio dallo sviluppo di servizi bookmarking basati sul web, che hanno però acquisito la capacità di ri-pubblicare le selezioni da noi ritaggate, oppure potrebbe trattarsi di aggregatori di feed che si sono specializzati nell’organizzazione delle fonti secondo gruppi di tematiche organizzate detti cluster o bundle. Oppure ancora abbiamo a che fare con applicativi web-based per la reimpaginazione “in bella forma”, come quelli che prendono il vostro flusso Twitter o Facebook e lo rendono visibile cercando di assomigliare graficamente a un quotidiano cartaceo, e contribuiscono a mettere ordine nei flussi caotici dei servizi di lifestreaming.
Curation tool
Ho provato e trovo divertenti – per stabilire la loro utilità aspetto ancora qualche settimana – Scoop.it, Curated.by, pearltrees.com, Paper.li, Montage, Storify e altri, tutti servizi che indubbiamente aiutano a focalizzare e raffinare il nostro scandagliare il web alla ricerca di informazioni e punti di vista sempre più precisi e puntuali. Robin Good su Master New Media offre una guida esaustiva a questi nuovi strumenti per la content curation, rivendicando per sé inoltre l’aver saputo fin dal 2004 indicare la necessità di poter usufruire di tool per il reperimento e la selezioni di notizie e segnalazioni, secondo un concetto di newsradar decisamente affascinante per i tempi. Certo, ci sono anche riflessioni critiche che non vanno ignorate: Jeff Jarvis sin dall’inizio sottolinea l’importanza del fattore umano nella capacità di individuare percorsi di senso non “meccanicamente” predeterminati dagli algoritmi di ricerca, secondo cui curare dev’essere sempre qualcosa in più di un freddo aggregare, nella capacità del giornalista o del fruitore di “annusare” le notizie da fonti inconsuete e in seguito di fornire elementi di contesto e un punto di vista personale, nella loro riproposizione ad altri pubblici e altri canali comunicativi.
Dieci anni fa l’esplorazione del web avveniva secondo quote di serendipità molto maggiore, nell’inseguire collegamenti stralunati o chiavi di ricerca su motori molto meno perfezionati di oggi. Il margine di aleatorietà era molto più ampio, e al prezzo di navigazioni spesso insulse poteva capitare di imbattersi in gemme preziose, inaspettate e incredibilmente calzanti rispetto ai nostri interessi del momento. Oggi ci nutriamo di informazioni predigerite e già organizzate da parte di servizi web che aggregano le fonti secondo criteri di pertinenza spesso eccessivamente meccanici, che non lasciano più spazio alla scoperta casuale. Abbiamo guadagnato potenza e focalizzazione, abbiamo perso un po’ di libertà e di apertura all’inaspettato. Ma inventeremo sempre nuovi modi per far fare agli strumenti quello per cui non sono stati progettati: il nostro fare creativo, collaborativo e condiviso, saprà individuare nuovi territori della Conoscenza, e nuovi modi di esplorarli.