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Curare le nevrosi con Doom II

05 Gennaio 2000

Curare le nevrosi con Doom II

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Secondo Paolo Fuligni, psicologo e psicoterapeuta livornese, Doom II può essere utile per combattere alcuni tipi di nevrosi e aiutare alcuni pazienti ad acquistare maggiore fiducia in se stessi

Nella terapia del dottor Paolo Fuligni, psicologo e psicoterapeuta livornese, c’è anche Doom II. Sì, avete capito bene, proprio il videogame finito nella hit-parade mondiale dei giochi elettronici più violenti e diseducativi. Secondo Fuligni, Doom II può essere utile per combattere alcuni tipi di nevrosi e aiutare alcuni pazienti ad acquistare maggiore fiducia in se stessi.

E non c’è da meravigliarsi perché, come spiega Fuligni, “il gioco è sempre stato impiegato in psicologia clinica. Basti pensare che a inventare i mattoncini Lego fu uno psicologo inglese. I videogame sono soltanto l’evoluzione dei giochi tradizionali.

Doom? L’ho usato in alcuni soggetti adulti con forme di inibizione cognitiva. Erano timorosi, incapaci di difendersi e quindi soggetti ad essere aggrediti. Doom, insieme a un’adeguata psicoterapia, li ha aiutati a migliorare, perché davanti al computer sono riusciti a ricreare quel blocco psicologico che li rendeva insicuri e a superarlo.
Certo, sono casi limite e non voglio fare l’elogio dei giochi elettronici violenti. No, la violenza è deleteria, soprattutto nei giovani e va evitata”.

Fuligni non è il solo psicologo in Italia a impiegare i videogiochi nelle terapia e, ovviamente, non utilizza soltanto Doom II. Nel suo studio ci sono videogame studiati per migliorare la memoria, altri per stimolare capacità danneggiate da un trauma. E una serie di simulazioni alle quali lo psicologo dà un’importanza particolare.

“Ce ne sono alcune così realistiche – spiega ancora Fuligni – capaci di dare un grande contributo alla lotta contro le fobie. Una decina di anni fa, utilizzando un vecchio computer 286, il gioco Flight Simulator della Microsoft e un adeguato assetto cognitivo-comportamentale, sono riuscito a risolvere i problemi di alcune persone aviofobiche, cioè assalite dalla paura di volare.

Non solo le spingevo ad andare all’aeroporto e a leggere riviste dedicate al volo, ma le facevo giocare con Flight Simulator. All’inizio erano a disagio, manifestavano segni di rifiuto, che sono andati lentamente scomparendo dopo ogni seduta. Alla fine queste persone sono tornate a volare su un normale aereo di linea e hanno superato angosce e traumi”.

Secondo Fuligni, anche altri programmi possono aiutare a superare le nevrosi. “Da anni – dice -negli Stati Uniti software di simulazione aiutano a tornare alla guida persone che hanno subito gravi shock da incidenti. Poi c’è tutto l’universo dell’handicap nel quale il personal computer e i videogiochi hanno un’importanza a volte determinante”.

Il futuro? “A noi psicologi piacerebbe avere un software personalizzabile capace di creare videogiochi su misura. Sarebbe il massimo per mettere a appunto terapie personalizzate”.

Negli Stati Uniti i videogiochi nella psicoterapia clinica sono entrati da più di vent’anni. Alla fine degli anni Settanta alcuni ricercatori, tra i quali, W. J. Lynch, Jo Douglas e John Malec, scandalizzando il mondo scientifico, iniziarono a far giocare i propri pazienti con Space Invaders e le prime versioni di simulatori di volo.

Space Invaders, nato nel 1978 e primo esempio di “arcade spara tutto”, venne impiegato per la riabilitazione cognitiva di persone che avevano subito uno shock (incidente stradale, cadute, traumi); i giochi di simulazioni di volo per combattere l’aviofobia, la paura di volare.

Da allora divertimento elettronico e psicologia clinica sono diventati alleati e l’esperienza d’Oltreoceano si è trasferita, se pur con qualche difficoltà, anche in Italia. Due le principali applicazioni: in psicologia dell’età evolutiva e dell’apprendimento e in psicologia clinica.

“Il videogioco può essere un eccellente vettore di conoscenza e aiutare il bambino a crescere – dice la professoressa Carmen Betti, docente di Pedagogia generale all’Università di Firenze -. Anche perché aiuta i bambini a comprendere più linguaggi e a confrontarsi con loro. Certo, la qualità è indispensabile, ma se non si abusa di violenza i ragazzi possono migliorare le proprie qualità cognitive”.

Software ludico viene applicato con successo in soggetti ipercinetici, con disturbi dell’attenzione e persino con difficoltà nella socializzazione. In quest’ultimo caso gli psicologi impiegano giochi in rete: via telematica i bambini giocano con altri coetanei che rifiuterebbero con un normale contatto e si abituano a conoscerli. Insomma, diventano amici prima nel cyberspazio e poi nella realtà.

Anche nella psicologia clinica vi sono importanti applicazioni. Il computer è associato spesso al metodo cognitivo comportamentista. Il videogioco crea una realtà virtuale e il paziente può rivivere le emozioni che lo turbano e, con l’aiuto dello psicologo, superarle.

Il futuro? Quello di riuscire a realizzare videogiochi su misura. Alla Northwester University, nei pressi di Chicago, l’équipe del professor Roger Schank costruisce sistemi virtuali e immersivi adatti per ogni tipo di nevrosi. Ma ciò che serve è un applicazione semplice “fai da te” da utilizzare in ogni studio, semplicemente, senza conoscere codici di programmazione. Un modo per adattare le esigenze di singoli pazienti allo “psico-gioco”.

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