Marco Rosella è un ventiquattrenne schivo e sorridente che viene da Alghero, dalla Sardegna marinara eppur diffidente, e vive in quella dependance terragnola e tecnologica che è Pisa per gli isolani doc e geek come lui. Laureatosi da poco in Ingegneria Informatica, ora lavora all’Istituto di Informatica e Telematica (IIT) del CNR occupandosi di tematiche oscure come document engineering & workflows e XML legislative. Tematiche che come particelle girano intorno al nucleo dell’idea di un web più semantico, ovvero più dotato di senso. Ma anche, perché no, più bello.
È stata proprio la passione per il design dei siti web che ha portato Marco (alias Central Scrutinizer per chi lo segue sul suo blog) su un palco del South By Southwest a ritirare il premio come miglior CSS dell’anno per The Horizontal Way. Il sito che ha creato meno di un anno fa è un cane che si morde la coda, o un cerchio che si chiude: ha un template a sviluppo orizzontale e si occupa di segnalare altri siti che hanno scelto di organizzare i loro contenuti da destra a sinistra invece di adottare il classico modello verticale – dall’alto in basso. Un sito orizzontale molto “verticale” quanto al tema (e sembra un’offesa). Ma proprio per questo apprezzato e premiato al South By Southwest, evento giunto ormai alla decima edizione, che affianca ad un festival del cinema e ad uno della musica una settimana consacrata alle nuove tendenze del Web. Che quest’anno ha, tra le altre cose, consacrato un servizio come Twitter agli onori della blogosfera internazionale (vincitore della categoria “blog”). Marco Rosella, saputa della nomination come miglior CSS parte per Austin, Texas con la valigia di cartone e torna con la coppa, ritirata dalle mani di Ze Frank davanti ad una nutrita platea di protagonisti del Web di ieri, oggi e verosimilmente domani.
È vero che, chiamato al palco del SXSW, la prima cosa che hai detto è stata “buonasera”?
Esatto. È stato dopo aver saltato da una seggiola all’altra, essermi disteso ai piedi del conduttore ed aver recitato un po’ di Dante. Ma era per mettere le mani avanti sul mio discorso in inglese maccheronico.
Quando hai saputo di aver vinto?
Nel momento in cui il presentatore ha pronunciato il “the winner is”. A nessuno dei nominati era stato preannunciato niente, e forse è stato meglio così. Sentire, prima della premiazione, il brusio di una ottantina di persone che ripassavano un possibile discorso è stato affascinante.
Come ti è venuto in mente un sito a sviluppo orizzontale come The Horizontal Way?
Sin dalla metà degli anni ’90 erano stati sviluppati diversi siti con questa struttura – qualcuno ricorderà una delle prime versioni di mtv.it, oppure i designer ndroid e delaware, fino ad arrivare ad alcuni stili del famoso Css Zen Garden. Esperimenti affascinanti che non si sono mai diffusi troppo, però. In un post di un anno fa mi ero posto la domanda: ma perchè i siti con scrolling orizzontale sono così poco diffusi?
Ecco, appunto, perchè?
Probabilmente perchè non sono immediati da realizzare, per abitudine contraria, o perchè non erano disponibili delle risorse in Rete che ne analizzassero i pregi ed i difetti. Eppure trovarsi davanti ad un sito orizzontale, che deve essere utilizzato in un modo inusuale, fa scattare nella mente una tipica reazione: “questo sito è diverso!”. Il che può essere un valore aggiunto per chi ha l’obiettivo di rendere il proprio sito differente da quello degli altri. Per esempio i siti commerciali in genere. Un template orizzontale, vista la sua struttura “a brochure”, è molto adatto per contenuti con grandi immagini e poco testo – come portfolio o gallerie fotografiche.
Ma è anche uno svantaggio, no? Che ha forse un po’ confinato l’orizzontalità dei siti ad un mero uso da “vetrina” più o meno originale.
Probabilmente sì, per ora. Il problema è infatti cosa farne con i contenuti testuali. Un template orizzontale ha un’altezza limitata, per cui il testo scompare quando supera il bordo inferiore del browser. La soluzione è quella di utilizzare le colonne: nel CSS 3, nuovo standard W3C per i fogli di stile, esiste un modulo apposito che consente di creare un effetto da tipografia cartacea. Purtroppo il CSS3 è supportato solo in Firefox, per cui per ora bisogna utilizzare il javascript. Ma c’è anche chi ci prova, a farci passare i contenuti. Ti faccio un esempio della sperimentazione di un quotidiano on line, lo Zeit. A dirla tutta, però, non riesco a vedere il sito della CNN con template orizzontale.
Che tipo di uso viene fatto in genere dai siti orizzontali che hai trovato dal tuo osservatorio privilegiato?
The Horizontal Way è dedicato principalmente agli sviluppatori, visto che nelle mini-recensioni parlo solo di layout e javascript utilizzati – segnalando alcuni miglioramenti possibili con l’utilizzo di particolari tecniche CSS o Javascript. Il tutto vuole essere una sorta di “ricerca del sito orizzontale ideale”. Per far sì poi che chiunque sia interessato possa creare a sua volta un sito orizzontale, ho anche creato un template scaricabile. Ma ci sono anche dei capolavori assoluti di grafica, molto belli da vedere anche per chi non è un esperto. Fino ad ora ho selezionato una trentina di siti, tra quelli con le tabelle (obsoleti, ma ancora interessanti per alcuni aspetti di posizionamento), con i CSS e in Flash. Quanto all’uso concreto si va dalle gallerie di fotografi, ai portfolio di designer, alle brochure turistiche, ai siti ufficiali di gruppi musicali come gli Evanescence. In Italia anche il sito della Fiat500 ha fatto una scelta “orizzontalista”.
E ancora molto potrà venire dall’uso evoluto dei CSS (recentemente portali molto importanti e discussi sono stati molto criticati per non averne fatto uso).
Io la vedo come una questione di standard. I CSS sono il linguaggio che consente di definire lo stile di una pagina HTML: il modo in cui viene visualizzata da chi la visita. Negli anni ’90 ogni sito doveva essere ricostruito cinque o sei volte per essere visualizzato (quasi) correttamente in ogni browser. Lo standard, quello del W3C, esisteva ma non veniva applicato. Grazie all’apporto di un libro (Designing with web standard di Jeffrey Zeldman), una coalizione che ha dialogato con i produttori di browser (webstandards.org) e un sito dimostrativo (CSS Zen Garden) i siti CSS sono ormai esplosi. I CSS sono gli adattatori universali dei siti web, così da non dover mai cambiare “riduttore” anche se si va all’estero (o se si sceglie un template orizzontale).
Tornando ai siti orizzontali, non è che i blog hanno un po’ omologato la grafica nei siti? Con l’ordine cronologico inverso, il fatto che il contenuto più aggiornato sia quello che sta più in alto è quasi diventato un dogma.
Io credo invece che la diffusione dei blog sia stata importantissima per la sperimentazione. Sia da un punto di vista estetico (nelle decine di gallerie CSS l’80% dei siti sono blog) che da quello della fruizione del contenuto. Se penso ad esempio ai layout, grazie alla spinta data dai blog (quanti soldi puoi perdere se un giorno ti svegli e decidi di rifare il tuo sito da zero?) si è passati da quelli fissi a tre colonne dei portaloni anni ‘90 alla riduzione a due colonne fino ad arrivare alle colonne singole con una parte del contenuto distribuito nella parte bassa della pagina. Un esempio? Time nel 1999 e Time nel 2007.
Tu sei stato un blogger dei primordi. Ricordo un tuo progetto di blog-romanzo nel lontano 2002 che si chiamava“Il mio amico Gr0ucho3″.
Sì, seguivo i blog già da un anno scarso e con la nascita di Splinder ho deciso di provarci anche io. Visto che non sopportavo l’idea di dare la mia vita in pasto a degli sconosciuti, mi ero inventato un personaggio fittizio che rinchiuso nel suo appartamento usava il blog come unico mezzo di comunicazione con l’esterno. È stato divertente per cinque o sei mesi, perchè ero costretto ad inventarmi sempre qualcosa di nuovo ogni giorno, ma era scritto malissimo e dopo averlo chiuso quasi di netto ha avuto l’oblio che si meritava.
Poi ci hai provato anche con i videoblog, è tuo anche vlog.it…
Nel 2003 c’era stata una micro-esplosione dei videoblog negli Stati Uniti mentre in Europa l’unico a provarci era Maurizio Dovigi con il suo “No Filter”. A dicembre 2003 ho registrato il dominio “vlog.it”, ma il mio videoblog non è mai partito per via di problemi estetici. La frase ricorrente era: “Tu puoi bucare il video. Con il naso”. A settembre del 2005, Vlog è stato finalmente inaugurato come “galleria dei migliori videopost della vlogosfera”, con l’obiettivo di diventare una directory per i vlogger italiani come fu “Bloggando” per i blog nel 2002. Anche in questo caso l’oblio è alle porte, ma per tirarmi su il morale penso che il boom dei videoblog non sia mai davvero avvenuto, bloccato dall’arrivo di YouTube e cloni.
Al SXSW c’erano grandi personaggi della Internet di questi ultimi anni: chi ti ha più colpito tra quelli che hai avuto modo di conoscere?
Dopo inseguimenti di corsa ed agguati dietro l’angolo ho avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con alcuni dei miei miti. Si va oltre l’adorazione da gruppo musicale, perché alcune soluzioni trovate nei blog più famosi si sono spesso dimostrate decisive nella soluzione di alcuni problemi concreti: penso agli script di Peter-Paul Koch, o agli hack CSS di Tantek Celik, le tecniche Flash di Shaun Inman o le lezioni di layout di Mark Boulton. Ma anche Jason Santa Maria, David Shea, Andy Clarke, babbo Zeldman. Riguardo il mondo non strettamente di sviluppo mi ha fatto un po’ impressione trovarmi a breve distanza con Joi Ito, Robert Scoble, Amanda Congdon e Kevin Rose di Digg. La cosa strana è stata riscontrare l’assoluta umiltà di questi personaggi: forse oltre a un grande talento è questo che li ha fatti arrivare così in alto nel loro lavoro.
Ultima domanda. Sul palco hai dedicato la vittoria agli sviluppatori italiani. Quali sono i progetti che ti piacciono di più?
Sono davvero contento degli exploit internazionali di Valerio Proietti e Alessandro Fulciniti – e nazionali di Andrea Baresi (con Moltomondiale) e dei ragazzi di DueSpaghi. Noi italiani abbiamo abbastanza fantasia ed esperienza per competere in qualsiasi campo professionale, ma purtroppo abbiamo un grosso difetto: parliamo e scriviamo poco in inglese. Io consiglierei a chi ha un blog che si occupa di Web – siano commenti sulla nuova applicazione Web 2.0 o esperimenti innovativi con delle classi Python – di aprire all’istante un blog parallelo in cui inserire le traduzioni in inglese dei post appena scritti, o anche i più interessanti tra quelli già pubblicati. Perché rinunciare all’opportunità (seppur con un inglese maccheronico) di essere letti in qualsiasi angolo del mondo?