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Corruzione a tutta forza, corporation-style…

02 Agosto 2002

Corruzione a tutta forza, corporation-style…

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Arresti, truffe e bancarotte s'allargano a macchia d'olio nel mondo telecom/high-tech.

Sempre più agitate le acque del corporate world oltreoceano. Poco allegre anche le ultime in arrivo dal cuore della grande industria tecnologica, tra arresti eccellenti (dirigenti WorldCom e Cisco) e dichiarazioni di bancarotta (per Ziff-Davis). Certo in apparenza, è business as usual — ma in realtà basta darsi un attimo da fare per ‘connect the dots’, per collegare tra loro una serie di recenti eventi così da rendersi conto che…ne vedremo ancora delle belle. E come risposta, le fonti governative non trovano di meglio che insistere con la pantomima del pugno di ferro per frodi e corruzioni nel mondo del grande business. Ma quanti sono a crederci?

Due giorni fa, tra telecamere puntate e fedelissimi reporter, Bush decreta l’entrata in vigore di nuove, restrittive norme contro i ‘corporate crooks’. Al gran gala della firma sono presenti pezzi da novanta, dall’Attorney General al direttore dell’FBI al chairman del NYSE. ” Basta col denaro facile per i ‘corporate criminals’, per loro d’ora poi solo galera e repressione,” sbraita il presidente. Il solito finale a tarallucci e vino, dunque? Più meno. Peccato, ahimè, che ciò si dimostri tutt’altro che sufficiente. La gente della strada, gli economisti e perfino Wall Street non paiono abboccare più di tanto. Occorre fare qualcosa di più per spazzar via una volta per tutte il fantasma del flop Enron-Andersen. Già, ma cosa di preciso?

Arrivano così testate e trasmissioni mainstream pronte a sbattere in prima pagina arresti eccellenti, come quello del “cable moghul” John Rigas, 77 anni, di suoi due figli e altri due dirigenti della Adelphia Communications. Con annessi dettagli sul report di 68 pagine che illustra truffe e raggiri messi in atto dai suddetti negli ultimi anni non certo per filantropia quanto piuttosto per puro tornaconto personale. Ottima mossa da dare in pasto al grande pubblico, onde stimolare per l’ennesima volta la fiducia degli investitori, fiducia chiaramente scossa dai recenti news in arrivo dal business world a stelle e strisce. Attenzione però: qualche commento sui giornali e le sagge battute della gente di strada conferma che lo scenario va facendosi più buio, giorno dopo giorno: “stiamo forse assistendo allo svelarsi della classica punta dell’iceberg?,” ci si chiede con insistenza. Un dipanarsi che va allargandosi, manco a dirlo, anche all’ambito high-tech e telecom, quello che cioè un po’ tutti indicano (indicavano?) come settore trainante per l’auspicata ripresa di un’economia tuttora in fase di stallo.

Una situazione, come dire, incresciosa, che trova piena conferma e rilancio nel lanci d’agenzia rimbalzati qualche ora fa sui maggiori siti web e network TV. Si tratta di ulteriori manette ai magnati industriali. Si è consegnato all’FBI Scott Sullivan, il chief financial officer di WorldCom licenziato non appena l’azienda rese pubblico il buco di quasi 4 miliardi di dollari. Identica la sorte toccata nella mattinata di giovedì al “garante” David Myers. Entrambi sono ora formalmente accusati di aver cospirato per portare a termine la colossale truffa gonfiando i bilanci WorldCom mentre questa la barca — per inciso, il numero due nazionale nella telefonia long distance e tra i maggiori provider del backbone internet — stava in realtà colando a picco. I due rischiano fino a 65 anni di carcere, e lo stesso Attorney General John Ashcroft dichiara che il governo è deciso a fargliela pagare, ovviamente allo scopo di “tutelare i risparmi e le pensioni degli Americani.”

Sugli schermi TV e sul web fa sicuramente un certo effetto vedere simili personaggi in manette, scivolar via pur sempre ben vestiti e curati, impassibili, scortati dagli agenti federali nelle strade contornate dai grattacieli di Manhattan. Anche se poi nello stesso pomeriggio i due tornano in libertà, ma dietro cauzioni salatissime (10 milioni di dollari per Sullivan, due per Myers) e col divieto di lasciare il paese in attesa delle prime apparizioni in aula tra circa un mese. Né potevano mancare i rilanci degli avvocati difensori, per i quali “le accuse sono motivate a livello politico.” Problema è che il tutto appare fin troppo scontato. Un’orchestrazione generale che, di nuovo, mira spudoratamente a risollevare il morale dei risparmiatori, grandi e soprattutto piccoli. Ma che lascia scoperte non poche falle e dà adito a dubbi aggiuntivi.

Basta pescare nella limitrofa industria high-tech per scoprire, ad esempio, che proprio l’altro giorno un ex-dirigente di Cisco Systems si è dichiarato colpevole di aver trasferito illegalmente qualcosa come 50 milioni di titoli aziendali in un proprio acconto fissato alle Bahamas. Robert Gordon verrà processato per insider trading e frode aggravata, per aver rubato quei titoli di proprietà di Cisco Systems. Ottenuto il patteggiamento, è prevista per fine ottobre la sentenza (massimo 20 anni di prigione). E ancora a proposito di Bahamas, si rafforza l’iniziativa dei Democratici per bloccare lo spostamento in quelle zone di parecchie società nazionali. Pratica tutt’altro che nuova e del tutto legale — mirata sostanzialmente a non pagar tasse e nascondere ogni tipo di bilanci — ma che negli ultimi ha attirato l’attenzione di cittadini e legislatori. Solo nel 2001 una trentina di corporation operanti al di fuori degli USA, hanno “risparmiato” in tal modo oltre un miliardo di dollari che altrimenti sarebbero entrati nelle casse allo stato. Anche qui, Bush ha fatto il muso duro, spiegato al nugolo di reporter che “simili attività impongono controlli più severi.” Ma si è guardato bene dallo sbilanciarsi oltre, ben sapendo come i diretti rivali politici non vedano l’ora di far scoppiare quest’altra mina vagante prima delle elezioni per il rinnovo del Congresso a novembre.

Dulcis in fundo, arriva l’annunciata presentazione di bancarotta per il (piccolo?) media empire di Ziff Davis. I documenti per il famigerato “chapter 11” saranno ufficialmente presentati oggi, ma rimane incerto l’effetto dell’operazione. Per evitare di andare in tribunale, infatti, questa dovrà essere controfirmata dal 95 per cento degli attuali creditori. Secondo un portavoce del gruppo, “sono tuttora in corso ampie discussioni sulla ristrutturazione del debito, ma non sappiamo come andrà finire.” Va notato come da mesi Ziff Davis sia stata trascinata via dal tracollo della bolla internet. Nel solo trimestre chiusosi il 30 giugno scorso, le perdite erano state di 56,8 milioni di dollari (pari a oltre il 30 per cento in meno), mentre già nel medesimo periodo del 2001 la caduta aveva toccato quota 49 milioni. Rapidamente chiuse sei riviste cartacee, smantellate varie testate web d’informazione sul mondo high-tech.

Il seguito alla prossima puntata, ovvero: quale altra corporation sarà colta in flagrante?

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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