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Copyright, le major preparano l’assalto finale

02 Maggio 2006

Copyright, le major preparano l’assalto finale

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Se entrasse in vigore, il nuovo Protection Act proposto a favore della proprietà intellettuale comporterebbe il raddoppio delle pene e l'introduzione di nuove fattispecie di reato

«Il Nuovo DMCA: il disegno di legge che i cartelli di Hollywood non vogliono che nessuno veda… Questo è il tentativo concertato di arrivare alla guerra di Hollywood contro l´America creando una generazione di criminali e mandandoli in carcere». Così rilancia Anti-DMCA.org, una delle testate online che da tempo seguono e informano sulle vicende relative al Digital Millennium Copyright Act (Dmca), la principale normativa federale che governa l´uso dei materiali online divenuto legge il 20 ottobre 1998 sotto l´amministrazione Clinton. Il campanello d´allarme va risuonando da qualche giorno nel cyberspazio statunitense, con reazioni seriamente preoccupate per il testo di revisione della legge appena diffuso.

In sintesi: l´Intellectual Property Protection Act of 2006 (Ippa), questo il titolo formale della proposta, prevede il raddoppio della durata della detenzione per infrazioni al copyright, la creazione di una nuova serie di reati e l´attivazione di una divisione all´interno dell´Fbi specificamente dedita a perseguire questi criminali con budget annuale di 20 milioni di dollari. È prevista una pena massima di 10 anni di carcere per chi prova soltanto a commettere atti di pirateria, i quali vengono così considerati reati peggiori della pedofilia o «dei cinque anni previsti per resistenza a pubblico ufficiale», fa notare un blogger tra i tanti. Altri constatano che il disegno di legge non è altro che «il Dmca agli steroidi» o lamentano che «ci sono cose a questo mondo talmente ridicole che parlano da sole», mentre c´è chi suggerisce senza mezzi termini «meglio darsi al taccheggio, allora» e chi puntualizza «tecnicamente si sta trasformando la Riaa/Mpaa in un dipartimento governativo».

Ma non basta: un´altra clausola definisce reato federale «realizzare, importare, esportare, aver controllo di, o possedere» gli strumenti software atti ad aggirare le protezioni anti-copia integrate in qualsiasi dispositivo elettronico – mentre l´attuale norma colpisce soltanto la distribuzione di tali strumenti. Un´estensione del tutto eccessiva, sottolinea Michael Masnick, manager di Techdirt: «Chiunque abbia un prodotto di sicurezza per rimuovere il noto rootkit di Sony-BMG (sistema antoinstallante che, all’insaputa dell’utente, verifica l’autenticità dei Cd causando seri danni per sicurezza e privacy), sarebbe in violazione della legge». Ciò inasprisce ulteriormente un articolo già abbondantemente criticato dalla comunità di ricerca e spesso usato per bloccare una della forze stesse dell´innovazione tecnologica, la capacità dei ricercatori di condividere informazioni di ingegneria informatica. Pratica seguita in diversi casi eclatanti, documentati nel ricco archivio della Electronic Frontier Foundation, incluso quello del 2001 contro Ed Felten, docente di computer science a Princeton, il cui team recentemente era stato nuovamente il primo a mettere a nudo proprio quel rootkit sui Cd di Sony-BMG, astenendosi però dal pubblicarne i dati per timore di essere querelati in base all´attuale DMCA.

La nuova bozza è stata redatta da Lamar Smith, deputato repubblicano del Texas, presidente della Commissione sulla proprietà intellettuale, e «verrà presentata nel prossimo futuro» alla Commissione giustizia della Camera per il primo esame dell´iter legislativo, sotto la spinta dell´altro repubblicano del Wisconsin James Sensenbrenner, il quale si è già detto convinto della rapida approvazione del provvedimento. Convinzione che farebbe ovviamente piacere ai dirigenti delle grandi corporation, tra cui il vice presidente della Software and Information Industry Association, Keith Kupferschmid, che ha prontamente dichiarato: «Nell´insieme la proposta presenta parecchi punti positivi; fornisce al Dipartimento di Giustizia ulteriori mezzi per combattere con efficacia i reati contro la proprietà intellettuale». Ciò grazie anche a una norma ulteriore che prevede la possibilità di intercettazioni segrete in ogni indagine che riguardi «reati sul copyright, furto di segreti commerciali e spionaggio economico».

Insieme alla gravità del giro di vite proposto, la bozza dell´Ippa va in direzione diametralmente opposta a quella suggerita negli ultimi anni da una variegata coalizione di aziende high-tech, programmatori, accademici nonché da associazioni pro-consumatori e noti autori – che spingono per una revisione meno restrittiva e più aperta del Dmca. Tra costoro, Lawrence Lessig, docente alla Stanford Law School e autore di Cultura Libera, dove motiva le critiche «all’estensione illimitata dei diritti di proprietà, che porterebbe a una “feudalizzazione” della cultura», e più recentemente il giornalista J.D. Lasica che nel libro Darknet scrive: «Il DMCA raggela l´innovazione imprenditoriale, annulla i diritti legittimi dei cittadini, trasforma gli apparecchi digitali in scatole nere inviolabili perfino dai proprietari e relega gli operatori di Webcast allo stato di cittadini di seconda classe. Queste disposizioni vanno revocate… Vanno inoltre riformate le pesanti multe e la durata detentiva per i trasgressori previste dal Dmca, in modo che le pene siano adeguate all´offesa. Infine, qualsiasi riforma del Dmca deve includere requisiti sulla trasparenza, affinché i clienti vengano informati quando acquistano un apparecchio, un Cd o altri supporti mediatici sull´eventuale presenza di sistemi anti-copia che ne riducono la funzionalità».

Analoghe posizioni vengono espresse dalle varie associazioni, tra cui la Eff: «Il Dmca non è stato usato in base agli scopi del Congresso» denuncia l´avvocato Fred von Lohmann, «ma per minacciare e perseguire. Una riforma è dunque indispensabile». Con questo obiettivo, un paio di settimane fa la stessa Eff ha diffuso un rapporto (Unintended Consequences: Seven Years Under the Dmca) che tira il bilancio dell’impatto di questi sette anni di Dmca su consumatori, scienziati, accademici e operatori economici – analizzandone in particolare le ripercussioni negative sulla libertà d’espressione e di ricerca, sul ricorso al fair use e sulla crescita della competitività, dell’innovazione e dell’editoria. Analogamente, una recente analisi (Circumventing Competition) curata dall´analista tecnico-politico Timothy B. Lee segnala come, ad esempio, nel settore privato, aziende di ogni tipo, dai fabbricanti di saracinesche per garage a produttori di cartucce d´inchiostro, hanno usato il Dmca per soffocare la competizione del mercato – brandendo la legge più che altro come minaccia preventiva per bloccare perfino il reverse engineering di ditte rivali e penalizzare consumatori dotati di hardware e software “non-tipici”, dagli utenti del sistema GNU/Linux ai disabili.

In attesa dei futuri sviluppi del disegno di legge al Congresso, prosegue comunque la battaglia di attivisti ed esperti pro-riforma sia sul Dmca sia più in generale sull´attuale normativa del diritto d´autore. Incluso il convegno Copyright Controversies: Freedom, Property, Content Creation, and the DMCA, organizzato l´altro giorno dal Cato Insitute, lo stesso think-tank liberal che ha pubblicato la ricerca sopra segnalata. Dove un report a caldo segnala tra l´altro «un fatto notevole del gruppo “pro-copyright”: sembrano essere tutti lobbysti di professione». È forse questo, ancora una volta, il rischio maggiore di simili proposte legislative: nella stragrande maggioranza dei casi, vengono decise soltanto dai politici e dai potentati industriali, tagliando fuori l´elemento chiave, gli utenti. I quali meritano invece un posto di primo piano intorno al tavolo delle trattative, come d´altronde per altre questioni calde dell´era digitale, che non possono né devono essere risolte senza il contributo diretto dei cittadini.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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