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Conversazioni non mediate sulla crudeltà

08 Settembre 2010

Conversazioni non mediate sulla crudeltà

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Vediamo e giudichiamo i fatti, anche quelli più devianti e disturbanti, senza più il filtro di persone deputate a interpretare. La reazione è immediata, lo sdegno o l'entusiasmo entrano in circolo direttamente. È la nuova sfera pubblica e stiamo imparando a farne parte

Ci sono signore canute che gettano gattini nella spazzatura o ragazzine incappucciate nella felpa rossa che lanciano cagnolini appena nati nel fiume. Lo sappiamo perché i relativi video sono stati caricati in Rete ed è subito stata aperta la caccia ai colpevoli delle azioni crudeli attraverso un’attivazione che, tra gruppi su Facebook, appelli online e diffusione sui media mainstream, ha creato uno stato di alta emotività nell’opinione pubblica mediata.

Le riprese delle telecamere di sicurezza dei signori Mann, proprietari inglesi della gattina Lola, sono state diffuse in Rete con la collaborazione della RSPCA (l’equivalente della nostra protezione animali): le linee telefoniche messe a disposizione delle eventuali denunce da alcune testate e l’attivazione di un gruppo su Facebook hanno consentito di individuare la responsabile, che ora si sente minacciata visto il grado di sovraesposizione in Rete e la pubblicità sulla sua residenza. L’adolescente lanciatrice di cuccioli di cane è stata, anche lei, individuata dopo la segnalazione azzardata di una ragazza tedesca (come si può leggere nella ricostruzione di Paolo Attivissimo) grazie alle indicazioni su Facebook di chi aveva riconosciuto la lingua brevemente usata nel video (il bosniaco) e il fiume in cui i cuccioli sono affogati (il fiume Vrbas in Bosnia-Erzegovina).

Abitanti

La presenza di questi video e dell’espressione dei loro contenuti sono un prodotto che dipende dal fatto che le persone hanno cominciato ad “abitare” la rete. Questi comportamenti però non esistono perché c’è la rete. Non dipendono strettamente dalla rete. Emergono, questo sì, perché c’è la rete. Cioè diventano visibili rispetto ai milioni di contenuti prodotti perché le nostre coscienze connesse li selezionano. I gesti quotidiani di cattiva – pessima! – cittadinanza vengono segnalati e fatti circolare sotto forma di conversazioni che li delegittimano, che chiedono giustizia, che ci fanno riflettere collettivamente su accadimenti che spesso sono sotto i nostri occhi, ma che sfuggono al nostro sguardo. Nella loro condivisione, nell’essere sottoposti al giudizio, improvvisamente diventano trasparenti. Ci obbligano a riflettere. Non possiamo sottrarci a quelle immagini segnalate da un friend, non possiamo esimerci di rispondere all’appello di coscienza, con un commento o un semplice like che può rendere più visibile lo sdegno.

La rete è un luogo di elaborazione di un’opinione pubblica connessa in cui la cittadinanza culturale sperimenta una propria riflessività innanzitutto attraverso dinamiche conversazionali. Prendiamo alcuni commenti italiani sulla vicenda dei cuccioli di cane e proviamo a leggerli nella loro dinamica di conversazione in pubblico:

Mha, non so , tutto sommato si tratta di gente che vive in paesi molto poveri, credo spesso non si possa nemmeno immaginare il livello di indigenza nella quale viva questa povera gente, dopo la guerra e tante altre brutte storie… Certo non si può portare i cani dal veterinario locale che costerebbe un sacco e ti guarderebbe come se tu venissi dalla luna. Non si può nemmeno tenere in casa ottantacinque cani, così per dire, dopo un po’ di anni, e nemmeno far sterilizzare la madre, che costa un sacco di nuovo. Insomma è necessario eliminare i cuccioli. Si lo so che agli italiani -di città – vengono i brividi. Ma dico, ci sono cose ben più gravi -le lapidazioni, le guerre. I Balcani hanno la loro cultura, e anche noi comunque ci mangiamo polli maiali galline vitelli e oche tutti i giorni, o no ?

Personalmente trovo differenza tra affogare i cuccioli di cane (cosa che trovo sbagliatissima a prescindere dalla cultura, stato sociale ecc…) per motivazioni più o meno valide e scaraventare cuccioli di cane nel fiume con un ghigno stampato in faccia…Saranno anche più gravi le lapidazioni e i vari esempi che hai fatto, ma si tratta di uomini che maltrattano altri uomini…E poi, se io vivessi nella povertà, degrado, il dopo guerra ecc.. penso che troverei di meglio da fare che non ammazzare in modo vigliacco dei poveri animali. Il mio augurio personale é che la bionda in questione si trovi ad affrontare una muta di cani randagi e che la natura faccia il suo corso…

pero questa volta mi sento di fare l’avvocato del diavolo. nessuno di noi ha memoria che magari nelle campagne dove i cani da cortile in calore magari grazie a qualche randagio intraprendente sfornavano una cucciolata che non poteva essere tenuta?.. dove veniva portata secondo voi?.. ad annegare al torrente. o sbaglio?… certo se la commissione la deve fare una ragazzotta che ha qualche rancore verso la vita.. ecco lì che il casino e bello fatto, si salvano sempre volentieri gli animali virtuali ma poi le mani nelle cacche pochi le mettono

Riflessività

Il tema diventa un’occasione per riflettere sui nostri comportamenti di cittadini, per confrontare le diversità culturali, per dare risposte complesse che vadano oltre il semplice sdegno e provino a comprende motivazioni, ragioni. Ci esponiamo come interlocutori pubblici di un’opinione che riprendiamo nelle nostre mani senza lasciarla fuoriuscire dai tasti di un giornalista o di un opinionista di professione, al cui tentativo di interpretazione potremmo aderire soltanto con un “sono d’accordo” o “non sono d’accordo”. La cittadinanza culturale che si esprime online orienta la sfera pubblica verso un modello diverso, promuove partecipazione e dialogo attraverso dinamiche complesse di negoziazione che devono elaborare le differenze.

Troviamo però anche le forme emotive che la visione di atti di crudeltà e ingiustizia suscitano negli spettatori connessi. Emerge allora la natura di una “folla” che reagisce istintivamente, che si abbandona alle pulsioni (verbali) sino a sconfinare in una sorta di linciaggio conversazionale che avviene fra forme ironiche e – soprattutto nei gruppi Facebook – emotivamente dirette e sopra le righe:

i’m going to find this person and the person filming it and both torture them so horribly she wish she was dead

I hate dis girl, I hate what she did i hate that the puppies are dead!!!!

This piece of shit makes the woman putting the cat in a bin look like the tooth fairy, what an evil little bitch and she is smiling while doing it, “phew” what a sadistic piece of filth she is, lets hope she gets hers comeuppance very soon 🙂

io non so chi sia questa persona e prego Iddio che non mi capito sotto mano altrimenti Dahmer in confronto a me diventa San Francesco. Io questa persona non la voglio uccidere la voglia fagocitare, la voglio torturare lentamente e mangiarmela pezzo dopo pezzo lentamente, molto lentamente. Prima scriverò un libro di torture e poi lo metterò in pratica su questa persona passo dopo passo.

Responsabilità

Il fatto di abitare un luogo di conversazioni in qualità di cittadini ci espone direttamente alle diverse forme, nobili e meno, dell’opinione pubblica, alle difficoltà nel mettere in prospettiva – senza filtri mediali professionali – la natura della realtà che commentiamo. Richiama anche direttamente alla responsabilità delle nostre parole che assumono la natura di azioni verbali che non possono essere lasciate cadere con leggerezza:

Lascia perdere, di commenti come il tuo è piena Facebook a ogni piè sospinto (nè risulta mai che abbiano risolto alcun problema, nemmeno piccolo piccolo). E, se lo rileggi con un attimo di raziocinio, dopo che ti è passato il comprensibile moto di sdegno derivante dall’aver visto il filmato, non potrai anche tu che constatare quanto è ridicolo e insulso

La permanenza e ricercabilità del nostro conversare online, la sua esposizione in pubblico, la presenza continua degli “altri” che chiedono conto dei nostri gesti conversazionali in modo diretto, mostrano un modo diverso di costruire la sfera pubblica e le difficoltà che abbiamo nell’imparare ad abitarla.

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