Greenpeace, nota associazione per la difesa dell’ambiente, nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione condotta sul proprio sito Internet, aveva utilizzato il marchio della società petrolifera Esso – la celebre scritta rossa in un ovale blu – sostituendo alle due S il simbolo del dollaro, per indicare la propensione della multinazionale a sacrificare l’ambiente in favore del profitto.
L’operazione aveva suscitato l’immediata reazione della Esso e la citazione in giudizio, in Francia, del gruppo ambientalista, contestandone la deformazione del marchio e l’utilizzo del logo contraffatto “per indurre l’associazione da parte degli internauti tra questo e il marchio richiamato, così da suscitare confusione tra il pubblico con lo stesso marchio nella sua forma autentica”.
I legali della società sostenevano che anche la riproduzione identica del marchio sarebbe stata ugualmente illegale, in quanto Greenpeace non aveva affatto bisogno di utilizzarlo per fornire al pubblico le informazioni di cui disponeva.
Con un’ordinanza dell’8 luglio 2002, il Tribunal de Grande Instance di Parigi, aveva accolto, in via provvisoria, le richieste della Esso, richiamando la normativa in materia di tutela del marchio che, a differenza di quella sulla proprietà intellettuale, non prevede un’eccezione quando il marchio è usato a fini di parodia o di critica, e aveva ordinato a Greenpeace di cessare qualsiasi utilizzo del marchio Esso che generasse confusione tra gli utenti. Questa pronuncia era poi stata ribaltata nel giudizio di merito, conclusosi il 30 gennaio 2004.
Nei giorni scorsi, la Corte d’Appello di Parigi ha confermato la sentenza a favore di Greenpeace France, affermando che il movimento ecologico non si era spinto più in là di una semplice polemica e aveva svolto la sua azione entro i limiti di un lecito esercizio della libertà d’espressione.