Se nel contesto affettivo la lontananza pare avvicinare i cuori, in quello lavorativo crea entropia. È importante trovare una dimensione spazio-tempo alternativa in cui accogliere le persone, le idee, i materiali; un universo alternativo che porti a compimento i nostri processi in questo stato delle cose fluido e distribuito. Ci serve insomma lavorare smart. Tentiamo un proto-inventario di strumenti che possono servire a creare questa terza dimensione.
- Uno strumento per scambiare messaggi in modo asincrono
- Un ambiente per incontrarsi a distanza, in tempo reale
- Un deposito di materiali comune, unico, sempre aggiornato
- Un ambiente per lavorare a più mani sugli stessi documenti o sulle stesse idee
- Un calendario condiviso
- Una macchina del caffè virtuale
1. Uno strumento per scambiare messaggi in modo asincrono
In ambito lavorativo, la e-mail non sembra conoscere cedimenti. È uno strumento di comunicazione usato quotidianamente e con regolarità, insomma una certezza. Ha però in sé il potenziale distruttivo delle grandi scoperte: usato male, può causare più danni che vantaggi.
Con l’andare del progetto, l’accumulo di messaggi e-mail tende a creare dispersione informativa (dice niente un soggetto del tipo Re: re: fw: re: re: ultimissima versione del file?), fare confusione tra le successive versioni dei materiali via via aggiornati (Mi rigiri l’ultima versione del documento? A cui segue: Ma io ho già lavorato su quest’altra!), lasciare per strada qualcuno dei partecipanti (Non ero in copia), e altre spiacevoli dinamiche che ciascuno di noi avrà sperimentato.
Il suggerimento è cercare strumenti di lavoro collaborativo che possano, se non sostituire, affiancare l’e-mail, spodestandola dal suo trono di regina malvagia. Basecamp è uno di questi, il primo a entrare nell’arena tanti anni fa, e che continua a evolvere e a fare benissimo il suo mestiere.
2. Un ambiente per incontrarsi a distanza, in tempo reale
Ci serve una sala riunioni nella Rete; gli strumenti sono molteplici e, a momenti alterni, funzionano tutti bene e tutti male. Sperimentiamo tutti quanto sia falso il ci sentiamo alle 11:00 su Skype o Google Hangouts, con quei sipari di venti minuti di non sei tu, sono io, devo avere un problema al microfono, io ti sento, tu no?, magari passiamo al telefono.
L’importante è comunque stabilire a priori un set di strumenti, appurando che ciascuno li abbia installati e configurati e sia pronto di volta in volta ad accenderli in tempo.
3. Un deposito di materiali comune, unico, sempre aggiornato
Al crescere del progetto, aumentano i volumi di informazioni e materiali; tenere ordinato il patrimonio di cose che girano è vitale, sia per non incorrere in errori, sia per sanità mentale ed efficienza.
Serve un ambiente che risponda alla promessa qui trovi l’unica e ultima versione valida di ogni documento. Il controcanto è: se non usi quello che c’è qui, potresti essere in errore, a tuo rischio e pericolo.
Dropbox e Google Drive, con caratteristiche diverse, possono essere estremamente utili allo scopo. In un ambiente ad alta consapevolezza tecnologica, un server git funziona molto bene.
4. Un ambiente per lavorare a più mani sugli stessi documenti o sulle stesse idee
Parliamo di living document: documenti il cui contenuto cresce in itinere grazie al contributo di più persone, una dinamica fondante del concetto di co-design.
È possibile lavorare a più mani sullo stesso documento, sia in modo asincrono che contestuale, con diversi livelli di autorizzazione (dall’editing al commento alla sola visualizzazione), il che snellisce i processi di confronto, evita andirivieni e disallineamenti, porta le persone a bordo. Anzi, letteralmente sulla stessa pagina.
Le alternative sono numerose e a tutti i livelli di prezzo, da gratis in su, e di sofisticazione. La base per i non tecnici potrebbero essere per esempio le Google Apps (anche in versione business).
5. Un calendario condiviso
Quando?. La risposta a questa domanda dovrebbe dare il senso a ogni riunione, ma sappiamo come va a finire. Stabilire date significa avere chiaro cosa fare e chi lo debba fare; diamo per scontato che noi saremo bravissimi a trovarci sempre in questa condizione, e quindi avremo nel calendario un alleato per scandire il ritmo delle attività di ciascuno.
Il calendario deve ovviamente essere condiviso con tutti i partecipanti al progetto e possibilmente visibile anche a chi non partecipa direttamente, e anch’esso costantemente aggiornato. Potrebbe non essere questo il nostro ruolo, se avremo la fortuna di avere un project manager al nostro fianco; ma se lavoriamo soli, o siamo a nostra volta responsabili del progetto, è un tema che dobbiamo avere a cuore, come un metronomo che scandisca il ritmo di una sinfonia.
6. Una macchina del caffè virtuale
Forse l’informalità, l’occasionalità del confronto, la convivialità sono ciò che si disperde maggiormente con il lavoro remoto. Chi realizza gli strumenti collaborativi oggi lo sa, anche perché c’è la crescente attenzione della letteratura del mondo del lavoro al tema comincia a dare importanza a ciò che si perde, oltre a ciò che si guadagna, con l’evoluzione delle dinamiche lavorative attraverso l’uso della tecnologia.
Riuscire ad avere piccole sale relax virtuali non sostituisce il momento dell’incontro fisico, ma almeno in parte aiuta ad avere scambi informali e rilassati, che spesso aiutano anche nella qualità finale del lavoro, oltre a farci sentire più… umani.
Quali strumenti scegliere?
Sugli strumenti informatici è facile innescare guerre di religione, ci si muove in un campo minato forse addirittura più insidioso delle discussioni su quale sia la vera pizza.
Strumenti come Basecamp, Slack, Trello, Asana per esempio, hanno caratteristiche sensibilmente diverse tra loro, ma raggruppano in un unico ambiente diversi degli strumenti che abbiamo citato. Serve come sempre fare una piccola ricognizione preliminare e poi provare sul campo gli strumenti che ci risuonano, sia funzionalmente che filosoficamente, che esteticamente (non dimentichiamo quest’ultimo aspetto: come vogliamo che le persone si sentano interagendo con noi).
Questo articolo richiama contenuti dal capitolo 8 di Content Design.
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