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Come vendicarsi dei truffatori online

03 Marzo 2004

Come vendicarsi dei truffatori online

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Ci sono utenti che rispondono alle offerte-esca degli spammer, ma lo fanno per imbrogliare l'imbroglione. Dietro le quinte di una tentata truffa, con umorismo e psicologia come armi nella lotta al crimine via Internet

L’abbiamo ricevuto tutti almeno una volta: un e-mail che chiede la vostra “urgente assistenza” come prestanome per sbloccare qualche milione di dollari di provenienza non molto ortodossa. Una volta sbloccati i soldi, verrete ricompensati ampiamente per il vostro piccolo disturbo: va bene il trenta per cento?

La truffa scatta quando l’utente, in overdose di ingenuità indotta dal miraggio di cotanta somma di denaro, risponde alle richieste degli imbroglioni. Per sbloccare i soldi ci vogliono dei documenti, e per avere i documenti bisogna pagare la mazzetta al burocrate o la parcella al notaio, ma chi vi scrive dice di non avere tutta la somma richiesta dal meschino funzionario: potreste gentilmente mandargli qualche centinaio di dollari per risolvere la questione? Tanto li recupererete con gli interessi quando incasserete la vostra percentuale di quei milioni. Anzi, già che ci siete, potreste velocizzare le cose mandando le coordinate del vostro conto in banca dove verrà bonificata la vostra fetta del bottino?

Può sembrare impossibile che ci sia qualcuno così gonzo da cascarci, eppure c’è. Questa truffa ha così successo da spillare, secondo il Dipartimento di Stato USA, qualche centinaio di milioni di dollari l’anno soltanto negli Stati Uniti. Ma non sempre chi riceve questi inviti-truffa abbocca o, come fanno in tanti, semplicemente li cestina: c’è anche chi passa al contrattacco, ottenendo risultati esilaranti e addirittura ricevendone un ritorno economico.

Il topo diventa gatto

Prima che pensiate che sia un passatempo sciocco e forse anche crudele prendersela con questi truffatori di bassa lega, è meglio chiarire che chi organizza questi spamming truffaldini non è affatto uno squattrinato che cerca di tirare a campare sull’ingenuità altrui: questo è crimine organizzato. Il primo contatto è con un manovale del crimine, ma se l’aggancio ha successo, entra in gioco il resto dell’organizzazione. Si usa software apposito per rastrellare indirizzi Internet da spammare; vengono generati documenti falsi per “dimostrare” la correttezza dell’affare, inviandoli via fax da linee nelle quali i truffatori si inseriscono abusivamente; si organizzano incontri con falsi funzionari nei migliori alberghi a Londra, in Sud Africa e in Spagna; e i nominativi delle vittime vengono scambiati fra le varie organizzazioni truffaldine.

Addirittura, a volte una vittima, dopo essere stata truffata una prima volta, viene contattata da altre persone che si presentano come funzionari governativi (“noi siamo quelli veri, mica come quegli altri!”) che promettono di risolvere tutti i guai legali in cambio, ovviamente, di un piccolo anticipo spese. E il gonzo paga. Capita anche di peggio: alcuni dei truffati sono stati attirati con vari pretesti nei paesi dai quali partono le missive (molto spesso Nigeria o altri paesi africani) e rapinati o addirittura uccisi.

Interagire con questi criminali, insomma, non è un passatempo da affrontare con leggerezza, ma con le opportune precauzioni può essere occasione di soddisfazione e di divertimento quando si riesce a fare in modo che il truffatore diventi vittima ridicola della propria avidità. Oltretutto il tempo che il truffatore dedica alle false vittime è tempo tolto alla predazione di quelle vere, per cui si contribuisce anche a tenere più pulita la Rete. Ecco un esempio concreto tratto da uno dei numerosi siti dedicati a questa forma di vendetta.

Bako, Ethel e quei dodici milioni di dollari

Tutto comincia quando Bako Ndiovu, il truffatore, contatta Ethel in Inghilterra (i nomi sono di fantasia), spacciandosi per il figlio di un proprietario terriero assassinato nello Zimbabwe. Bako, ora profugo in Olanda, racconta che il testamento del padre contiene le coordinate di un deposito di ben dodici milioni di dollari presso una società finanziaria olandese; ma purtroppo le leggi locali non consentono a un immigrato che ha chiesto asilo politico, come Bako, di gestire somme così grandi.

Per riavere quel denaro, a Bako serve l’aiuto di una persona fidata: Ethel, appunto, che gli è stata segnalata (dice lui) dalla Camera di Commercio olandese. In cambio dell’aiuto, Bako promette il trenta per cento della somma; il resto serve per curare mamma e dar da mangiare a moglie e figli.

Fin qui niente di straordinario: è un copione strausato da questo genere di raggiri. Ma Bako non sa che dietro il nome femminile di Ethel c’è in realtà un burlone che intende vendicarsi di tutto lo spam truffaldino che riceve, prendendolo in giro il più a lungo e ferocemente possibile. Il burlone assume l’identità falsa di Ethel, donna ingenua e ricca, e risponde a Bako offrendo il proprio commosso aiuto. Bako promette di mandarle documenti che “dimostrano” la trasparenza dell’affare.

A questo punto scatta la trappola; non quella del truffatore, ma quella della potenziale vittima. Ethel inizia a sedurre Bako, dicendosi dispiaciuta di scoprire che Bako è sposato, perché sa che gli uomini dello Zimbabwe sono “veri uomini” e oltretutto “dotati come asini”. Per rincarare la dose, Ethel manda a Bako una sua foto ben poco credibile (pare tratta da un catalogo di pornostar), e gli promette addirittura un incontro romantico. Bako, allettato dall’idea di aver trovato una vittima da spennare e di aver fatto colpo come uomo, non si accorge di essere preso per i fondelli. Le parti si sono invertite.

Passa qualche giorno, e Bako ricontatta Ethel, che si scusa dicendo di essere stata troppo presa col proprio lavoro di ballerina esotica con serpenti. Neppure quest’improbabile professione, poco consona a una ricca ereditiera, suscita dubbi in Bako, che si proclama “innamorato” e pronto a intestarle i milioni inesistenti.

Ethel alza la posta: chiede a Bako una sua foto “preferibilmente in mutande” e gli affida un numero di telefono sul quale contattarla: è in realtà una segreteria, grazie alla quale il burlone (alias “Ethel”) riesce a catturare la voce del truffatore, che le rivela il proprio numero di telefono. Ma Ethel, invece di richiamarlo, gli scrive dicendo di aver tentato di telefonargli senza riuscire a prendere la linea. Notate la strategia: il truffatore paga per le telefonate internazionali, il burlone no; ed è il burlone a prendere l’iniziativa. L’e-mail di Ethel si conclude con l’invito a raggiungerla nella sua prossima tournée a Las Vegas insieme ai suoi serpenti, ma neppure questo mette sul chi vive il truffatore; stavolta è lui a essere preda della propria avidità.

Dopo qualche giorno di fitta corrispondenza, Bako si fa avanti con la richiesta di denaro: chiede a Ethel di raggiungerlo ad Amsterdam con 3200 euro come contributo per le “spese di amministrazione”. Ethel, astutamente, s’inventa un’ottima ragione per non poter venire in Olanda: un carico pendente con la giustizia locale per aver “abusato” di un serpente durante il suo show (vi risparmio i dettagli facilmente intuibili). Ethel si offre però di mandargli il denaro tramite Western Union.

Bako crede di avere i soldi della truffa a portata di mano, ma all’ultimo istante Ethel gli scrive: il gestore della Western Union le ha detto che ci sono tanti truffatori in giro e sarebbe meglio farsi dare qualche garanzia. Ethel sa che Bako la ama e non le farebbe mai nulla di male, ma… non è che Bako potrebbe fare un gesto simbolico di garanzia? Che so… mandaredieci euro in una busta?

Dopo un intenso scambio di e-mail in cui Ethel lusinga e confonde Bako con promesse di incontri amorosi nella sua nuova villa con schermo al plasma da cinquanta pollici, il truffatore crolla e manda alla “vittima” i dieci euro richiesti.

La trappola è scattata, ma c’è il gran finale: bisogna trovare il modo di scaricare Bako, e qui il gioco diventa arte. Ethel annuncia infatti a Bako che ora che ha dimostrato la sua onestà, verrà di persona ad Amsterdam a portargli i soldi, ma per evitare l’arresto arriverà a Bruxelles l’indomani. Sarebbe così gentile da venirla a prendere?

Bako ritelefona, agitato e confuso all’idea di dover sostenere l’ulteriore spesa della trasferta ma attratto dall’idea di spupazzarsi una formosa incantatrice di rettili, e trova naturalmente la solita segreteria, alla quale Bako non conferma che verrà a Bruxelles. Ciononostante, Ethel gli scrive qualche giorno più tardi, ringraziandolo per averla raggiunta all’aeroporto e per la splendida notte passata insieme in albergo; l’e-mail appassionato si conclude con la preghiera di far buon uso dei soldi che gli ha affidato e con l’attesa dell’incasso dei milioni promessi. In realtà Ethel non si è mai mossa di casa.

Ma Bako, perplesso, scrive a Ethel che lui a Bruxelles non ci è andato. Come sarebbe a dire, risponde Ethel, e allora io con chi sono andata a letto? E dove sono i soldi che ti ho dato? Porco!

A questo punto Bako va nel pallone, perché non sa più cosa pensare: la ricca ereditiera gli è stata soffiata da qualche collega più scaltro che si è intromesso, oppure era una fregatura? Comunque sia, “Ethel” è un bersaglio “bruciato” dal quale non si ricaverà più un soldo. Così Bako non si rifà più vivo, e Ethel si tiene i dieci euro del truffatore e pubblica l’intera spassosa corrispondenza (in inglese) su Internet.

Il bottino e la lezione

Il burlone ha dato una lezione magistrale di controfregatura: a parte i soldi che è riuscito a farsi mandare dall’aspirante truffatore, è riuscito a ottenerne anche il numero di telefono e la registrazione della voce (altri riescono a farsi mandare anche una foto), e soprattutto a fargli perdere moltissimo tempo e fare una figura da cretino internazionale, per non parlare dell’ovvia soddisfazione di farla pagare, una volta tanto, al disonesto.

È una lezione che chiunque può ripetere. Non occorre certo una conoscenza perfetta dell’inglese: i truffatori stessi sono estremamente sgrammaticati e anzi l’equivoco può aiutare nel gioco. Ci vuole però una certa astuzia psicologica: molti spunti, in questo senso, sono offerti dal social engineering alla rovescia mostrato da questo episodio.

Fingere di essere una donna, per di più attraente e disponibile, distrae il truffatore e gli fa credere di avere la vittima in pugno: il maschilismo è duro a morire, e ogni uomo è convinto di essere il più grande seduttore dell’universo. Sembrare pronti a mandare denaro e poi farsi prendere dal dubbio è un ottimo espediente per tirare in lungo e far perdere tempo al truffatore; proporre un incontro (fasullo), ma in momenti e luoghi decisi dalla “preda” e non dal criminale, è un altro sistema per fargli spendere tempo e denaro. Usare l’effetto sorpresa, per esempio facendo delle avances o mettendo fretta al truffatore con delle scuse, serve a rendere insicuro l’avversario e tenerlo sbilanciato: e a quel punto, chi ha davvero molta faccia tosta può anche farsi mandare dei soldi.

Va da sé che in questo gioco la cosa più importante è mantenere il controllo della situazione, e uno degli strumenti fondamentali per farlo è non rivelare nulla di vero di sé: presentarsi con un nome falso, dare indirizzi di fermo posta o altrimenti non rintracciabili, e usare numeri di telefono cellulari dai quali il truffatore non possa risalire all’intestatario. E naturalmente mai, mai, mai incontrarsi di persona. Se ci provate, raccontatecelo. Buona caccia.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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