Come funziona la creatività nei leader

23 Aprile 2025

Come funziona la creatività nei leader

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Le persone in ruoli di comando spesso non prestano tanta attenzione a come risolvere i problemi, quanto a individuare i problemi giusti da risolvere.

Trovare problemi nuovi da risolvere

Probabilmente il più antico legame tra disturbo mentale e un tratto della personalità desiderabile è quello tracciato per la prima volta da Aristotele tra creatività e depressione. Egli notò che i poeti avevano una tendenza a essere malinconici, una constatazione che molto tempo divenne poi saggezza convenzionale; il poeta depresso è uno stereotipo iconico. Ma la natura del legame (cosa causa cosa) è stata fonte di controversie, e pochi si sono chiesti come il disturbo mentale e la creatività possano essere collegati alla leadership.

Per capire il legame, dovremmo innanzitutto capire cos’è la creatività. Una definizione di creatività è pensiero divergente: generare molteplici soluzioni insolite a un problema. Esistono diversi test standard per misurare il pensiero divergente; uno chiede al soggetto di pensare a molti usi diversi e insoliti per un oggetto comune, come una lattina o un mattone. Altri test utilizzano l’associazione di parole o figure parzialmente disegnate che i soggetti devono completare.

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Alcuni si chiedono se studi come questi possano davvero riflettere la creatività originale e reale, quella che rende famosi i personaggi famosi. Potremmo anche chiederci se il modello del pensiero divergente non rifletta il concetto contrario. La creatività potrebbe avere a che fare non tanto con la risoluzione di problemi, quanto con la ricerca dei problemi giusti da risolvere. Gli scienziati creativi a volte scoprono problemi che altri non hanno mai considerato. Le loro soluzioni non sono tanto nuove quanto il loro riconoscimento dell’esistenza di quei problemi. Le teorie di Isaac Newton lasciarono la maggior parte dei fisici soddisfatti, fino a quando un giovane impiegato dell’ufficio brevetti di Zurigo si rese conto che non funzionavano se applicate alla luce; Albert Einstein vide problemi che altri non avevano visto e pose nuove domande che sostituirono le vecchie soluzioni. La creatività può consistere nell’identificare i problemi, non nel risolverli.

O forse si tratta di entrambe le cose. Gli psicologi Richard Mansfield e Thomas Busse propongono un processo in due fasi: in primo luogo, la selezione del problema, un’attività creativa che dipende dai tratti della personalità dello scienziato (autonomia individuale, mentalità indipendente, flessibilità personale e apertura alle esperienze). In secondo luogo, lo sforzo prolungato per risolvere il problema, in cui conta la perseveranza: la capacità di andare avanti anche quando le proprie opinioni sono impopolari o non premiate (anche in questo caso si beneficia dell’indipendenza del carattere). Sebbene mi concentri sugli aspetti cognitivi della creatività (il pensiero divergente e la capacità di trovare i problemi giusti) il ruolo della perseveranza è degno di nota. Charles Darwin attribuì notoriamente il suo successo alla propria caparbietà, non al proprio genio. Anche in questo caso lo stato maniacale, con la sua elevata energia (soprattutto nel temperamento ipertimico), è vantaggiosa; le persone energicamente maniacali tendono ad essere ostinate.

Una straordinaria follia

Dalle carriere e dalle vicende personali di importanti leader come Lincoln, Churchill, Gandhi e altri, a un’argomentazione controversa e convincente: le stesse qualità che contraddistinguono le persone affette da disturbi dell’umore – realismo, empatia, resilienza e creatività – sono anche quelle che, nei momenti di crisi, rendono migliori i leader.

La creatività, quindi, consiste nel trovare problemi nuovi e risolverli. Seguendo il pensiero di Aristotele e dello psichiatra del Diciannovesimo secolo Cesare Lombroso, credo che il disturbo mentale (e in particolare lo stato maniacale) rappresenti un bel vantaggio in questo processo. Pensiamo a un classico sintomo maniacale: la fuga di idee. I pensieri sembrano letteralmente volare in molteplici direzioni diverse; possono avere più o meno senso, ma sicuramente si espandono. Il pensiero divergente è un’esperienza quotidiana nello stato maniacale. Le persone in stato maniacale sono anche iperattive; pensano velocemente, parlano rapidamente e hanno bisogno di dormire poco; scrivono molto; disegnano, pianificano, propongono, attuano. La psicologa Kay Redfield Jamison, basandosi sulla sua esperienza personale, la descrive così:

I comportamenti e le emozioni esuberanti (sia che si manifestino nell’amore, sia che si manifestino nelle risate e nel gioco, sia che si animino con la musica, la danza e i festeggiamenti) hanno in comune livelli di umore elevati e l’energia. Agiscono sulle stesse aree cerebrali di ricompensa in cui agiscono anche il cibo, il sesso e le droghe che creano dipendenza, e creano stati di divertimento mentale e fisico.

L’autrice ha anche sottolineato il ruolo dell’esuberanza, come nel caso dello stato maniacale, nella leadership:

In tempi di avversità, una leadership ispirata offre energia e speranza laddove ne esiste poca o nessuna, dà fiducia nel futuro a chi l’ha persa e fornisce uno spirito unificante a una popolazione spaccata.

Un ultimo aspetto, forse il più importante, del pensiero creativo che vediamo durante lo stato maniacale è la capacità di pensare in modo più esteso; gli psicologi la chiamano complessità integrativa. Le persone creative vedono più lontano e più ampiamente; la loro visione cognitiva periferica è più chiara; fanno collegamenti tra cose apparentemente lontane che a molti di noi sfuggono.

Questo articolo richiama contenuti da Una straordinaria follia.

Immagine originale di Ian Stauffer su Unsplash.

L'autore

  • Nassir Ghaemi
    Nassir Ghaemi è professore di Psichiatria alla Tufts University School of Medicine e alla Harvard Medical School di Boston. Ha scritto diversi libri sulle malattie mentali e sui disturbi dell'umore e ha contribuito a numerose riviste scientifiche e altre pubblicazioni.

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