In Rete quello che trascura i bisogni delle persone è destinato a fallire e così un contenuto privo di onestà e di empatia. Nicola Bonora illustra in questa intervista che cosa voglia dire oggi fare content design all’altezza della propria funzione.
Content design: cosa vuol dire esattamente?
Letteralmente: progettare il contenuto. Il significato ovviamente non è univoco, in Rete si trovano diverse variazioni sul tema. Io parto dal significato di design come un’intenzione, uno scopo, un piano e dunque un progetto, così come descritto da Yvonne Bindi nel suo Language Design. E provo a spiegarlo così:
L’attività di definire la struttura, l’organizzazione e le caratteristiche di un contenuto, o di un sistema di contenuti, che faccia incontrare gli obiettivi di business con i bisogni delle persone.
Quali sono le caratteristiche di un contenuto che funziona?
Ognuno ha il suo manifesto, più o meno raffinato secondo sensibilità ed esperienze, e più o meno stabile a seconda dell’età anagrafica… Il mio conta dodici caratteristiche:
- Onesto.
- Utile.
- Accessibile.
- Strutturato.
- Semplice.
- User-centred.
- Autorevole.
- Autoriale.
- Bello.
- Appropriato.
- Coerente.
- Supportato.
Distillandone tre imprescindibili, sceglierei onesto, utile e user-centred. Onesto, perché l’onestà è prima di tutto un atteggiamento nella sfera dell’identità e della responsabilità sociale di un’azienda, di un’organizzazione; se l’onestà è un valore, il contenuto ne erediterà le caratteristiche, con una ricaduta positiva in termini di efficacia (le persone chiedono trasparenza) e di efficienza (una menzogna è difficile da perpetuare, quando le conversazioni corrono alla velocità della Rete). Utile, perché se non risolve un problema, un bisogno, un desiderio non è contenuto. Definire utile è metà della fatica in un progetto, perché porta con sé la necessità di indagare obiettivi e necessità al di là delle parole, delle evidenze e dei preconcetti che ciascuno di noi ha. Richiede di lavorare con le persone in modo empatico, spogliandosi di sé e predisponendosi a una qualità dell’ascolto superiore. Non facile, ma con processi e dedizione si impara tutto. User-centred, scusandomi dell’anglicismo di sintesi, perché se non parte dai bisogni delle persone non funziona. La persona al centro è il mantra della comunicazione pubblicitaria di questi ultimi anni ma, non so perché, subodoro un accenno di strumentalizzazione. Se il marketing ragiona in *target*, il design ragiona in *persone*, un paradigma che supera le classificazioni collettive per entrare nei pattern comportamentali dei singoli, da cui poi distillare sì generalizzazioni, ma che arrivano da un tuffo dove l’acqua è più profonda. E più blu.
Quali sono gli errori più gravi, ma comuni, che si commettono progettando contenuti?
Parto con un paradosso: spesso i contenuti non si progettano, si fanno. Nella progettazione di un sito web, ad esempio, ancora in tante situazioni il contenuto è un anello della catena, che deve essere realizzato o rivisto da qualcuno (un copy), il quale riceve un mandato e consegna a qualcun altro un output. Probabilmente sa poco o nulla del perché lo sta facendo, quasi sicuramente non ha partecipato alle fasi del progetto che precedono il suo coinvolgimento, quasi certamente non parteciperà alle fasi che seguono la sua consegna.
Il livello di consapevolezza con cui si progettano contenuti, così come siti web e altri sistemi di informazione, è tendenzialmente ancora molto scarso; si tende ad aderire a cliché non adatti alla propria realtà, o a partire da vincoli tecnologici, o ancora a costruire architetture “ordinate”, ma senza il senso. Il senso di un contenuto, di ogni progetto in generale, dovrebbe essere fare incontrare gli obiettivi di un committente con i bisogni delle persone a cui si rivolge. Non chiedersi costantemente se quanto stiamo facendo risponda a questo mantra pone un rischio di deragliamento, e non acquisire la consapevolezza di obiettivi e bisogni, non definire le domande, è l’errore più grave e rischioso.
Quali sono i risultati che possiamo realisticamente ottenere – e promettere – progettando i contenuti in chiave strategica?
Ribalto in positivo lo scenario apocalittico della risposta precedente: progettare i contenuti in chiave strategica significa generare risultati, grazie alla definizione di obiettivi realistici, chiari e raggiungibili, alla definizione del ruolo preciso di un progetto all’interno di una strategia più ampia, alla conoscenza delle leve che spingono le persone ad avvicinarsi – o a non farlo – a noi e ai nostri prodotti e servizi. Il circolo è virtuoso: prendere coscienza di questi elementi ha una portata generativa in azienda, crea le basi per un linguaggio comune tra le persone e adesione al progetto nell’organizzazione, fornisce parametri di giudizio chiari e condivisi. Tutti presupposti utili al triangolo qualità-tempi-budget, e alla salute mentale di chi lavora nel suo sacrosanto perimetro.
Condividi una cosa che hai imparato di questo mestiere con l’esperienza e che ci tieni a trasmettere in aula.
Una per tutte: acquisire una visione d’insieme. Elevarsi dalla foglia per risalire il ramo, l’albero e infine svolazzare sopra la foresta. Per quanto trovi salvifica e gratificante la specializzazione di ruolo, perché fornisce una spina dorsale e una forma di sicurezza all’interno della società lavorativa, credo che allargare le braccia e diventare una persona a forma di «T» offra infinite soddisfazioni personali, e parecchie possibilità professionali in più. Vedo per questo il content design come una capacità, un approccio al mestiere del contenuto che possa favorire quel passaggio verso l’alto, soprattutto in un mercato come il nostro.
L'autore
Corsi che potrebbero interessarti
Content Design - Fare una Strategia
Language design: progettare con le parole
Scrivere per lavoro