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Come fare un podcast: intervista a Matteo Scandolin

07 Febbraio 2023

Come fare un podcast: intervista a Matteo Scandolin

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Il podcasting è un fenomeno ancora largamente indipendente, dove il singolo può fare la differenza. Scopriamo come fare un podcast, insieme.

Racconto di un’esperienza e di una carriera, sul come fare un podcast

Matteo Scandolin dichiara sul proprio account YouTube per lavoro produco i podcast degli altri e per passione faccio i miei podcast. Un ottimo viatico per parlare insieme di come fare un podcast.

Apogeonline: prima di cominciare a parlare di come fare podcast, parlerei un attimo del perché. Che cosa ti muove? Perché hai scelto i podcast? Eliminando il discorso economico, dove sta la tua soddisfazione primaria?

Matteo Scandolin: È principalmente un’azione di condivisione, quella di parlare a un microfono. Alla fine degli anni Duemila mi sono appassionato ai podcast, alla gente che parla tra loro e porta avanti discorsi sperabilmente utili a tanti: è nata principalmente così, l’idea. Avevo conosciuto quello che ancora oggi ritengo essere tra i migliori critici cinematografici italiani, e ho pensato che fargli raccontare i film e il cinema così come ne parlava a me e agli amici davanti a una birra fosse una buona idea. 530 puntate dopo, credo lo pensino in tanti.

530 puntate dopo… come ci si prepara a una carriera da podcaster, in termini di strumenti, sia tecnologici che cognitivi? Quanto denaro si spende? Quanto tempo va via, per essere pronti a cimentarsi?

Leggi anche: Registrare bene: preparare lo studio, curare la postproduzione e altre buone pratiche

Per essere pronti, anche relativamente poco: sono della scuola basta che sia ascoltabile, non perfetto. Quindi tiriamo fuori lo smartphone e usiamo quello, per iniziare. Con il tempo – e lì sta all’indole di ciascuno di noi – capiremo come e dove intervenire, e magari un libro come questo può aiutare a risparmiare strada, ma non si possono cercare o pretendere tutte le risposte subito: sbagliare a orientare un microfono o impostare un compressore sono passaggi fondamentali e l’esperienza così ottenuta ci farà fare passi da gigante.

(Discorso diverso, ovviamente, per dei podcast organizzzati in primis per questioni di lavoro: lì il tempo da perdere è sempre molto, molto poco).

A parte lo smartphone comunque, mettere in piedi un piccolo home studio non è impegnativo: con un centinaio di euro ce la possiamo cavare alla grandissima, comprando attrezzature di fascia economica ma dignitosa, con la quale andare avanti anche a lungo. Soltanto un tecnico del suono con esperienza può riconoscere la differenza tra un microfono dignitoso da 25 euro e uno da 2.500.

Poi certo, se abbiamo ricevuto una cospicua eredità cambia tutto, e il microfono da 2500 euro non fa certo male!

A parte l’ovvio (il linguaggio non verbale, il rapporto diretto eccetera), ci sono differenze nel risultato tra un podcast registrato in presenza e uno a distanza? L’una o l’altra situazione sono diversamente preferibili in funzione del risultato?

Ti dirò: le registrazioni da remoto a volte possono pure battere quelle in presenza per una semplice questione di comodità. Non devo pulire casa, non devo rendermi presentabile, posso registrare in tuta senza radermi e via andare. Certo, ci si rimette in calore umano, ma dopo tanti anni di esperienza sul web posso ben dire che se le imposti nella maniera corretta, le amicizie da Internet possono darti altrettanta soddisfazione di quelle da frequentazione.

Se vuoi parlare di qualità, ormai può non esserci alcuna differenza. L’attrezzatura costa sempre meno, come abbiamo visto, e la tecnologia ci permette di avere ottimi microfoni anche USB. Sono nati servizi web pensati appositamente per il podcast da remoto, come Zencastr o Riverside. Con un po’ di accortezze e un po’ di pratica, si può creare un ottimo prodotto anche senza vedersi mai.

Poi io sono sempre per il vedersi di persona, quando possibile, e stare insieme di persona. Ma la distanza non è un problema.

Come ci si prepara per tenere un podcast? Come si preparano l’ospite o gli ospiti che partecipano?

Tanta volontà, dedizione e dieta equilibrata. No, a parte le battute: dipende troppo da ciascuno e da ciascun podcast, non c’è una formula magica. C’è chi va completamente a braccio e ha bisogno a malapena di sapere di cosa parlare, e c’è anche chi ha bisogno di un copione completo di ogni passaggio. (Io suggerisco di usare delle scalette, anziché dei copioni fatti e finiti).

Per quel che riguarda gli ospiti, dipende da chi sono e da quanta confidenza abbiamo con loro: il minimo è chieder loro di registrare senza la lavatrice che fa la centrifuga, o l’aspirapolvere, o il televisore acceso nell’altra stanza (giuro che le ho sentite, queste cose).

Una scaletta è più semplice di un copione, ma quanto? Come è fatta una buona scaletta?

A seconda di chi la scrive, può essere anche più difficile di un copione intero: dal lato della scrittura, perché devi arrivare a una buona sintesi senza dimenticare le cose importanti; dal lato della performance perché devi ricordarti un po’ tutto e deve guidarti senza che sia davvero evidente. Certo, uno non si deve ricordare la lunghezza precisa dell’Enterprise-D: certi dati possono e devono essere scritti, scaricati dalla memoria, sennò ci si incarta.

Fino a dove si perdona perché tanto si sistema in postproduzione e quando, invece, non si perdona e si rifà, o si taglia e chiuso?

Penso che anni di pandemia e l’abitudine a pessime videochiamate ci abbiano reso un po’ più accondiscendenti nei confronti di sviste tecniche o anche errori grossolani. Sono sempre stato convinto che un contenuto forte trasmesso con una tecnica debole vinca a prescindere da un contenuto mediocre (o debole) trasmesso con una tecnica perfetta. Certo, ci sarà sempre qualcuno pronto a lamentarsi, ma quello lo diamo per scontato.

Podcast - Guida alla creazione, pubblicazione e promozione, di Matteo Scandolin

Come fare un podcast rapidamente e con successo in modo professionale, divertendosi.

Poi è ovvio: una buona registrazione aiuta sempre. Stiamo chiedendo alla gente minuti preziosi del loro tempo, cerchiamo di fare il meglio che possiamo. Ma se ci scappa un errore, be’, accettiamolo. La prossima volta cerchiamo di non commetterlo.

Per quel che riguarda la postproduzione, una famosa citazione dice che you can’t polish a turd. Con l’intelligenza artificiale si stanno affacciando software sempre più capaci di riparare quasi qualsiasi danno, però alla base: cerchiamo di registrare bene.

Che cosa sta intorno al podcast? Sigle, stacchi, pagine su web e social, registrazione su siti di streaming… in che modo si valorizza il contenuto in termini di confezione e di diffusione?

Beh, tutto e il contrario di tutto. Io per esempio odio le sigle ma per lavoro le devo imbastire (andando a prendere musiche preparate da altre persone, sia chiaro, in luoghi come Envato o Epidemic Sound). Per la promozione ultimamente aiuta molto estrapolare delle clip e usarle su Instagram o TikTok, e rimandare all’ascolto sulle piattaforme audio. Piattaforme che stanno per essere stravolte, anche in Europa, dal probabile arrivo di YouTube Podcast che ha tutte le carte per migliorare la ricerca e la scoperta di nuovi podcast da parte di tutti noi. Diciamo che se si pensa che pubblicare un podcast significhi aver finito di lavorare, ci si sbaglia di grosso, soprattutto se il podcast fa parte di una strategia di comunicazione più stratificata e complessa.

Finalmente abbiamo la registrazione. Ora dobbiamo sistemarla, aggiungere la sigla eccetera. Quali sono i passi tipici? Abbiamo vincoli per quanto riguarda spazio disco e potenza del computer? Qual è il tuo setup preferito?

L’audio è, per fortuna, un compito che la maggior parte dei computer può portare avanti senza essere particolarmente avido di risorse. Una macchina più recente e performante ci farà esportare l’MP3 definitivo in meno tempo, ma se non lo stiamo facendo per lavoro possiamo anche prendercela relativamente comoda. (A me ogni tanto capita di fare anche dieci versioni diverse di una stessa puntata nel giro di un pomeriggio: in quel caso sì, la velocità e la potenza del mio Mac sono fondamentali).

Pertanto possiamo usare uno dei tantissimi software per il montaggio dell’audio, da Audacity per chi non vuole spendere ad Audition per chi magari è già nell’ecosistema Adobe, a Reaper, a Logic Pro, a qualsiasi altro: le cose che servono a noi che facciamo podcast sono un sottoinsieme ridotto delle funzionalità di un software come questi, pensati per la musica. Imparare a tagliare le cose che non ci servono, a regolare i volumi e magari giocare un po’ con l’equalizzazione di una voce sono compiti alla portata di tutti.

Per quel che mi riguarda: utilizzo Logic Pro su Mac perché mi trovo molto bene e mi sembra sempre di divertirmi, più che di lavorare. Quando devo parlare ho un microfono dinamico dignitoso ma relativamente economico attaccato a una scheda audio altrettanto dignitosa e altrettanto relativamente economica. Quello che un paio di anni fa mi ha svoltato, confesso, è stato acquistare un controller, cioè un accrocchio che simula il comportamento di un mixer reale e utilizzando il quale intervengo in realtà sul software. Abbassare il volume di una voce con una manopola è per me più veloce così.

E ora che abbiamo in mano un podcast esattamente come lo volevamo… che ci facciamo?

Beh, partendo dal presupposto che sia una puntata decente, la possiamo pubblicare: ci sono davvero tantissimi servizi di hosting pensati appositamente per i podcast, da Anchor che è gratuito (e proprietà di Spotify) a Spreaker, che ha l’animo italiano. Si occupano anche di distribuire le nostre fatiche automaticamente sulle varie piattaforme di ascolto (da Apple Podcast a Spotify, passando per tutte le altre). Ovviamente non possono fare il miracolo, cioè portarci gli ascolti: quelli li dobbiamo andare a costruire noi, nel tempo, attraverso i nostri profili social, una newsletter o – chessò – una serie di eventi dal vivo.

Che livello di calendarizzazione futura è richiesto per mantenere un buon podcast nel tempo? Programmi a un mese? un anno? tre puntate avanti? quando è pronto è pronto…?

Dipende troppo da ciascuno di noi. Io consiglio sempre di partire avendo pronte almeno tre puntate, in modo da assorbire gli eventuali colpi della vita (tranquilli: ci saranno comunque). Poi bisogna anche ragionare sulla base del progetto: è un commento quotidiano alle notizie? Difficile preparare più di un paio di puntate in anticipo, magari da giocarsi in momenti con pochi avvenimenti o quando ci si vuole prendere una pausa. Ci sono podcast molto seguiti che pubblicano quando hanno effettivamente una puntata pronta: per i più analitici e organizzati di noi è un colpo a tradimento, ma con gli anni ho imparato ad apprezzare questo atteggiamento.

(Per la cronaca: non sono né analitico né organizzato.)

Quali sono gli errori tipici che commettiamo nel preparare il nostro primo podcast, che diventano correttivi da applicare man mano che facciamo esperienza?

Due risposte fa parlavo di puntata decente: non tutte le puntate che prepariamo potrebbero essere giuste, magari alcune ci son venute proprio male per come abbiamo esposto i contenuti e preferiamo non farle sentire a nessuno: legittima scelta, ma mi raccomando, non cadiamo nell’errore di aspettare la puntata perfetta, perché il rischio è di non pubblicarla mai. Questo secondo me è l’errore più pericoloso: il perfezionismo.

Tutti gli altri sono piccole cose: sbagliare a selezionare un microfono, usarlo male, eccedere con gli effetti in postproduzione son tutte cose che con l’esperienza riusciremo a gestire meglio. Il perfezionismo ci sega le ginocchia da subito.

Che cosa ci siamo dimenticati di chiederti, o che volevi a tutti i costi dire?

Non mi viene in mente niente di fondamentale, se non di avere pazienza e non mollare se non raggiungiamo in poco tempo gli obiettivi che pensavamo di poter raggiungere: è pellegrinaggio che dura a lungo, questa cosa della creazione dei contenuti, non è uno sprint.

Ultima domanda: sono apparsi vari articoli pessimisti sul futuro dei podcast, in funzione dei movimenti delle major e dei comportamenti del pubblico. Come la vedi? È possibile vivere – o arrotondare con un senso – facendo podcast? Lo sarà di più o di meno?

Credo possa esserlo di più, perché se anche la bolla dovesse scoppiare ormai il concetto stesso di podcast è diffuso, normalizzato, considerato una cosa ovvia. Dieci anni fa era tutto il contrario, era molto più complicato. E, tra l’altro: dando per vero che una bolla esista.

Quando si esaurirà lo slancio accentratore ed economico delle grandi aziende (in special modo quelle informatiche) sarà sempre troppo tardi, per come la vedo io; che però sono della vecchia guardia. Sembra che l’esser basato sulla tecnologia RSS stia garantendo a questo mezzo di comunicazione una resistenza e resilienza ai tentativi di monopolio: mi auguro sia vero. C’è spazio per tutti, grandi e piccoli, e se i grandi senza cifre altrettanto grandi soffocano, per i piccoli bastano movimenti di capitale incredibilmente più bassi per mantenersi. Vedremo come si evolve, anche da questo punto di vista.

Immagine di apertura di Matt Botsford su Unsplash.

L'autore

  • Matteo Scandolin
    Matteo Scandolin ascolta podcast da tanti anni e ne ha prodotti per conto di realtà come Amref, Audible, Chora Media, il Post, Storielibere.fm. Adora i podcast indipendenti e vi partecipa spesso in qualità di produttore, consulente o formatore. È tra i fondatori del network Querty e tra i conduttori di Ricciotto - Il cinema dalla parte giusta.

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