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Colpo grosso al casinò

18 Giugno 2013

Colpo grosso al casinò

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L'eccesso di fiducia nelle proprie misure di sicurezza conduce alla sottovalutazione del pericolo (e a un attacco riuscito).

Una banda bene organizzata ha rubato 32 milioni di dollari australiani ad una sala da gioco. La storia riecheggia la trama del film Ocean’s Eleven e ripropone i dubbi sull’affidabilità dei sistemi di videosorveglianza.

Questi strumenti mirati funzionano in effetti molto bene, ma se il loro controllo si sposta nelle mani sbagliate, le immagini ad alta definizione dei giocatori e delle loro carte possono rivelarsi utili proprio a quanti il sistema intende bloccare.

Nell’occasione si è rilevato anche il quasi inevitabile concorso di un dipendente infedele, con accesso alle telecamere a circuito chiuso. La possibilità di comunicare con un giocatore che da un mese puntava forte ha portato ad una partita in cui, durante otto mani di poker, è stato vinto con l’inganno l’equivalente di quasi 23 milioni di euro.

Secondo alcuni esperti il vero problema dei casinò è che ritengono di avere difese perfette, mentre non è così. Si tratta di un caso evidente di percezione della sicurezza che non è basato su elementi oggettivi e misurabili. Succede infatti che molte persone abbiano ben più paura di un terremoto che del rischio di morire scivolando nel bagno di casa. L’evento infausto più frequente è di gran lunga il secondo, invece.

L’efficacia percepita delle misure di sicurezza che si mettono in atto è inoltre spesso ben distante dalla sicurezza effettivamente fornita. La presenza di uno strumento di sicurezza è spesso intesa come una buona sicurezza di per sé.

Secondo l’esperto americano di gioco d’azzardo Barron Stringfellow, una intrusione nelle reti informatiche dei casino non è implausibile né difficile. È soprattutto probabile trovare la guardia abbassata:

Se il casinò avesse controllato le trasmissioni radio, avrebbe probabilmente avuto modo di bloccare da subito il piano criminale.

Nel cibermondo sono ovviamente frequenti gli attacchi contro sale da gioco virtuali. Nel 2009 Ashley Mitchell rubò 400 miliardi di chip a Zynga (per circa 12 milioni di dollari) ma venne rintracciato a causa dell’enormità degli ammanchi. È stato condannato a due anni di carcere, più 30 settimane per una precedente ed analoga condanna in sospeso. Ancora una volta ha vinto il banco. Quello dei giurati però.

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