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Ci sono parole poco usabili (e varchi attivi)

11 Marzo 2011

Ci sono parole poco usabili (e varchi attivi)

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Per capire se si può entrare nella zona a traffico limitato in alcune città si sono diffusi cartelli a messaggio variabile. Ma se la dicitura è vaga e imprecisa, siamo da capo

Esistono casi in cui l’usabilità ha a che fare con le parole, con ciò che con un po’ di gioco mi piace definire usabilità delle parole.  Ci sono parole che pur appartenendo (ovviamente) alla sfera del linguaggio hanno precise conseguenze nella sfera dell’azione, come ad esempio le parole sui comandi delle interfacce. Credo si possa parlare della loro usabilità proprio perché esse si usano; si usano all’interno di un preciso contesto (quello di un’interfaccia) e con un preciso scopo e possono essere più o meno facili da usare.

Parole e azioni

Parole (o gruppi di parole) come Entra, Invia, Prosegui, Torna indietro, Guarda di nuovo, si fondono con l’azione che indicano, sono l’azione che indicano e allo stesso tempo sono parte dell’oggetto che permette l’azione (in genere un pulsante o un link); sono come gli interruttori della luce sui muri, come le manopole dei fornelli del gas, come le maniglie delle porte e ci permettono di agire e muoverci all’interno di ambienti virtuali. L’importanza della loro usabilità è lampante. Anche nella vita reale e quotidiana le nostre azioni  sono spesso guidate o interdette da indicazioni, comandi che si esprimono attraverso della parole.

Ad esempio i divieti, come il vietato entrare o il vietato fumare. Si tratta in genere di messaggi che elaboriamo con immediatezza, dati che il nostro cervello digerisce quasi senza scomodarci, producendo come risposte delle azioni che ci permettono di raggiungere degli scopi, come trovare qualcosa che stiamo cercando o semplicemente ci consentono di adeguarci alle convenzioni e alle regole del contesto in cui ci troviamo. Queste sono le informazioni che in un ambiente reale (come una città) o digitale (come un sito), dovremmo trovare velocemente e capire facilmente. Ma non sempre è così, anzi, alle volte sembra che ci sia chi ci si mette d’impegno per rendere difficili le cose semplici.

Un pretesto personale

Vivo a Perugia. Nel centro città ci sono diverse zone a traffico limitato (ZTL), in cui in alcune ore del giorno e in determinati giorni della settimana, è vietato accedere con la macchina. Gli orari e i giorni in cui il traffico è interdetto sono indicati nelle insegne all’entrata di ogni zona, insieme con un bel cartellone luminoso che annuncia, secondo i casi: ZTL APERTA o ZTL CHIUSA. Se è aperta si può passare se è chiusa e non si hanno particolari permessi non si può passare, pena una multa di parecchi euro. Aperta = sì, Chiusa = no, piuttosto comprensibile.

Qualche tempo fa sono stata a Roma e insieme con altre tre amiche, mi sono ritrovata in un’auto alla ricerca  di un parcheggio. Mentre giravamo nel traffico impazzito dell’Urbe, Emanuela (che è di Roma) dal posto di guida mi fa un cenno con il capo per non perdere di vista le corsie sovraffollate, e mi chiede di controllare se possiamo passare per il varco. Ed io, dopo essermi guardata un po’ attorno e aver letto un tabellone luminoso con su scritto varco attivo le rispondo di sì. Avevo letto il cartellone luminoso all’ingresso della via alla mia destra e avevo capito che potevamo passare, ma mi sbagliavo.

Codice linguistico

Due elementi collaboravano strettamente per trarmi in inganno. Da una parte la mia esperienza pregressa mi portava a considerare un varco attivo alla stregua di una Ztl aperta; un primitivo processo d’inferenza mi suggeriva un legame semantico nella coppia attivo/aperta. Dall’altra il mio codice linguistico (la lingua italiana) mi suggeriva che attivo è un aggettivo collegato con il polo positivo delle cose e che un varco ha a che fare con il passaggio, il transito, l’accesso, il passo. Quindi varco attivo = passaggio attivo, transito attivo, accesso attivo. Non avevo dubbi, potevamo passare. E invece no. Mi sbagliavo di grosso. Varco attivo sta a indicare che al varco sono attivi i controlli (videocamere e fotocellule) e che chi passa prende la multa. Io l’avrei presa di certo.

Ho cercato di immaginare il percorso mentale fatto da chi ha scelto un messaggio così tortuoso.
Suppongo che di base ci sia stata una duplice esigenza: da una parte dire che per quella via, in quel momento, non poteva transitare chi non ne aveva l’autorizzazione. Passaggio o varco chiuso avrebbe dato un’idea troppo assoluta: avrebbe asserito che nessuno poteva passare di lì, mentre qualcuno poteva ancora farlo. Dall’altra, forse, l’esigenza di ribadire che, non solo la zona era interdetta al traffico, ma che c’erano dei dispositivi attivi di controllo. Non ne posso essere certa, ma ho tratto queste conclusioni.

Tecnici

Posso avanzare anche un’altra ipotesi e cioè che il messaggio sia stato scelto dai tecnici che hanno realizzato il dispositivo. Persone che giustamente non si occupano di comunicazione. Per loro sarà stato naturale fornire un’informazione che riguardasse il sistema di controllo (attivo/non attivo) senza preoccuparsi degli aspetti comunicativi, che non rientrano nelle loro competenze. Il punto però è che data così, l’informazione è difficile da afferrare con immediatezza, soprattutto per le tante persone che si trovano per la prima volta a guidare nel traffico di Roma.

A chi guida una macchina nel caos, non interessa cosa s’innesca tecnicamente quando non può passare per una via: se i controlli sono attivi, inattivi o intermittenti. Gli interessa se può passare o no. Ha bisogno di un’informazione chiara e diretta. Non deve dover pensare, perché mentre è al volante, ha decine di macchine che circolano accanto alla sua, i clacson che strombazzano, gli scooter che lo sorpassano a destra, i pedoni che attraversano la strada e così via. Il divieto di accesso in una zona o in una strada deve essere visibile e il suo messaggio inconfutabile, perché oltre ad esserci di mezzo le multe e quindi i soldi dei cittadini, ci sono di mezzo i comportamenti alla guida e dunque la sicurezza delle persone.

Opposizione

Il messaggio per essere tale deve possedere un requisito fondamentale, deve saper riflettere il modello mentale degli  interlocutori, mentre la terminologia scelta nei tabelloni luminosi di Roma rispecchia a pieno il modello mentale dei progettisti (o dell’amministrazione che sia).  Nel caso specifico non possiamo nemmeno parlare di un semplice divario tra modelli mentali, ma addirittura di una vera e propria opposizione tra di essi: per i progettisti attivo = divieto; per i gli utenti attivo = permesso. Un messaggio più efficace potrebbe essere: accesso consentito vs. accesso proibito. Consentito si passa proibito no, e se ci sono delle eccezioni per i residenti di quelle zone, gli interessati ne conosceranno sicuramente i meccanismi.

Anche a Perugia si potrebbe parlare di accesso consentito vs. accesso proibito, così come a Milano, a Napoli, a Bologna, anzi credo che tutti gli automobilisti d’Italia gradirebbero un’uniformità terminologica sulle indicazioni di questo tipo. La stessa cosa detta con le stesse parole in tutte le città italiane, quello che si definisce uno standard. Facendo una breve ricerca sul web ho scoperto che in molti si sono trovati in difficoltà davanti al tabellone luminoso varco aperto/varco chiuso e che sull’argomento sì è addirittura pronunciata l’autorevole voce dell’Accademia della Crusca.

Indicazioni

Come non pensare a una delle euristiche di J. Nielsen sull’usabilità, quella che professa l’importanza della corrispondenza fra il mondo reale e il sistema, secondo cui Il sistema dovrebbe parlare il linguaggio dell’utente, con parole, frasi e concetti familiari all’utente e presentare le informazioni secondo un ordine logico e naturale, piuttosto che utilizzare termini orientati al sistema stesso. Avere indicazioni sullo stato del sistema è certamente importante: una spia rossa che indica che il mio hard disk esterno è acceso mi è molto utile, ma in alcuni casi e in un’ottica di economia cognitiva, è più importante avere opportune indicazioni sul da farsi piuttosto che doverle ricavare attraverso processi di inferenza o deduzioni.

L'autore

  • Yvonne Bindi
    Yvonne Bindi, laurea in Comunicazione Internazionale, è architetto dell’informazione ed esperta di linguaggio e comunicazione. Lavora come consulente, docente e divulgatrice sui temi del linguaggio, del design e della tecnologia. È stata relatrice a SMAU e al Summit Italiano di Architettura dell’Informazione e ha insegnato ai master di Architettura dell’Informazione presso lo IED di Roma e l’Università per Stranieri di Perugia. Ha scritto per Nova24, Apogeonline e riviste specialistiche.

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