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Chiudere la questione del formato aperto

11 Dicembre 2012

Chiudere la questione del formato aperto

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Il cammino verso l'interoperabilità e l'apertura dei dati pubblici prosegue con visuale allargata all'intera Unione.

Open Knowledge Foundation (OKFN) ci mobilita con un comunicato per fare opera di divulgazione, sensibilizzazione e lobbying sul tema dei formati aperti… non potevo esimermi dal rispondere, vista la mia (incompresa) predilezione per i temi dell’interoperabilità e della standardizzazione.

L’occasione è il processo di revisione della Direttiva Public Sector Information (PSI) avviato recentemente nell’ambito della Agenda digitale di Neelie Kroes e mirato ad ampliare il campo di applicazione della direttiva al fine di incoraggiare gli enti pubblici ad aprire i dati che producono con le loro attività istituzionali.

Cerchiamo però di ricostruire il quadro al fine di capire meglio il senso dell’iniziativa. La definizione di formato aperto (come quella di standard aperto) è uno dei temi chiave dell’openness, dato che, a seconda della sua interpretazione, si allarga o si restringe il potenziale di riuso di un contenuto, un dataset o di una tecnologia. La direttiva PSI del 2003 ha avuto la fondamentale funzione di avviare in Europa il dibattito in materia di open data nel settore pubblico, ma non si è preoccupata di fornire una definizione chiara e generalmente accettata di formato aperto. Leggendo il testo, si nota infatti che solo il Considerando 13 se ne occupa, tra l’altro molto cautamente (per facilitare il riutilizzo, gli enti pubblici dovrebbero mettere a disposizione i propri documenti in un formato che, nella misura del possibile e se opportuno, non dipenda dall’utilizzo di programmi informatici specifici); ma nessun riferimento specifico compare tra gli articoli della direttiva.

Dopo dieci anni, i tempi sono maturi per fare un passo più coraggioso.

Come si legge nel comunicato di OKFN,

il tutto si concretizza su una proposta di aggiungere un paragrafo nel secondo articolo della direttiva che fornisce una definizione chiara di ciò che è,in realtà, un formato aperto. Il lavoro dei relatori ha portato all‘emendamento 18 con un compromesso abbastanza buono, che parla più o meno da solo: “Un formato aperto deve essere indipendente dalla piattaforma, interscambiabile fra computer [machine readable] e messo a disposizione del pubblico, senza restrizioni legali, tecniche o finanziarie che impediscono il riutilizzo delle informazioni contenute”

Il comunicato procede poi invitandoci a uno sforzo di sensibilizzazione verso i vari governi nazionali che appunto parteciperanno all’iter di modifica della direttiva.

Si tratta di un’occasione per invitare i governi nazionali a spingere a favore dei formati aperti per mantenere e migliorare la definizione che il Parlamento Europeo ha già adottato.

In realtà il legislatore italiano avrebbe già fatto la sua parte con la riforma del Codice dell’amministrazione digitale (CAD) portata dall’Agenda digitale italiana (di cui si attende ansiosamente la conversione in legge), ma appunto qui si tratta di modificare il quadro di tutti i paesi dell’Unione, in un’ottica di uniformità normativa.

Il testo e l’immagine di presentazione di questo articolo sono sotto licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia. L’immagine di presentazione è derivata da quella presente in Formats ouverts, pour quoi faire?

L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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