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Chi le ha dato il patent

17 Giugno 2014

Chi le ha dato il patent

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Il patron dell'auto elettrica marcia a tavoletta contro l'attuale sistema di protezione delle opere dell'ingegno progettuale.

Ieri c’era un’intera bacheca di brevetti nella hall del nostro quartier generale di Palo Alto. Ma ora non è più così. Sono stati rimossi, nello spirito del movimento open source, per il progresso della tecnologia dei veicoli elettrici.
Così inizia un lapidario post firmato da Elon Musk, amministratore delegato di Tesla Motors, azienda californiana che ha raccolto la sfida di puntare interamente sulle auto elettriche.
Già a gennaio avevamo salutato la fondazione di un consorzio tra settore automobilistico e informatica per portare tecnologie open source (basate su Android) nella progettazione dei veicoli. E ora questa presa di posizione riapre e allarga ulteriormente il dibattito.
Se da un lato una dichiarazione così pesante non sembra sufficiente per ricadere pienamente nel modello open, dall’altro ha avuto il merito di smuovere le coscienze di molti osservatori delle tecnologie in senso lato (quindi anche di motori), dimostrando ancora una volta che un uso tradizionale (e quindi ispirato all’era predigitale) della proprietà intellettuale rischia di non risultare più un incentivo all’innovazione e in alcuni casi diventa addirittura controproducente.
Il post continua spiegando più precisamente i termini di questa scelta di politica aziendale, e lo fa con l’efficace similitudine brevetti = mine:

Tesla Motors è stata creata per accelerare l’avvento del trasporto sostenibile. Se diamo vita a un percorso per la creazione di veicoli elettrici attraenti, ma poi seminiamo “mine di proprietà intellettuale” dietro di noi per inibire gli altri, agiamo in un modo contrario a tale obiettivo. Tesla non avvierà cause brevettuali contro chi, in buona fede, volesse usare la nostra tecnologia.

Si tratta quindi non di una vera e propria rinuncia ai brevetti ma di una promessa a non esercitarne i relativi diritti, salvi i casi di mala fede (com’è comprensibile). Successivamente Musk se la prende con i soggetti che sarebbero gli unici a trarre vantaggio dall’attuale sistema brevettuale.

Troppo spesso i brevetti al giorno d’oggi servono solo a soffocare il progresso, consolidare le posizioni delle grandi corporation e arricchire gli studi legali, piuttosto che gli inventori.

Come dargli torto? Il modello brevettuale classico nel settore IT è anacronistico e in crisi quanto quello del copyright nella fruizione di opere su Internet (ricordiamolo: copyright è tecnicamente il diritto di effettuare copie); basti pensare a quanto suoni assurda la durata di 20 anni di questa tutela esclusiva quando le soluzioni tecnologiche in questione hanno una vita effettiva di 2-3 anni nei casi migliori.
A confermare la natura di tale crisi vi è l’illuminante conclusione del post del CEO di Tesla:

Una leadership tecnologica non è definita dai brevetti, che la storia ha più volte dimostrato essere protezioni molto fragili contro un concorrente determinato; piuttosto è definita dalla capacità di un’azienda di attirare e motivare gli ingegneri più talentuosi del mondo. Siamo convinti che applicare la filosofia open source ai nostri brevetti rafforzerà la posizione di Tesla piuttosto che indebolirla.

Il testo di questo articolo è sotto licenza Creative Commons Attribution – Share Alike 4.0.

L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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