Questo articolo richiama contenuti dal webinar Che cos’è il content design in pratica? tenuto da Nicola Bonora per Apogeo Editore il 17 febbraio 2021 in diretta Facebook.
Ritratto di un content designer
Sono un digital UX strategist; mi occupo in generale di quella che si chiama la big picture dei progetti, in sostanza cioè di tracciare i perimetri entro i quali poi i progetti digitali prendono forma. Progetti digitali per me sono tipicamente siti web, chiamiamoli property, su cui le organizzazioni hanno il totale controllo. Il content design di cui parlo è un po’ la sintesi del mio percorso professionale e la convergenza delle mie esperienze passate.
Ho iniziato a lavorare nel secolo scorso, ho vissuto un interessantissimo esperimento di startup multinazionale scoppiata nella bolla globale e poi ho trascorso quindici anni di impresa in un’agenzia, dove ho imparato un sacco di cose; da tre anni compio infine un bellissimo percorso all’interno del gruppo Websolute.
Gli skill che servono oggi
In questi 25 anni di Internet abbiamo visto nascere e morire tante etichette. Credo che faccia parte della natura dell’uomo cercare l’ordine delle cose, dare un nome alle cose, assegnare ruoli, una intenzione molto novecentesca. L’idea di ruolo è un qualcosa che appartiene al secolo scorso; oggi conta più lo skill set, l’insieme delle competenze, e oggi si cerca uno skill set t-shaped, a forma di T.
Significa unire una verticalità (sono uno specialista di questo) a una serie di skill orizzontali complementari che ci permettono di innestarci con il mondo che ci circonda. Senza questo innesto saremo un’isola e nessun uomo lo è, proverbialmente. Questa necessità di avere uno skill set l’ho concretizzata in quello che poi è diventato il mio concetto di content designer.
Risolvere la dicotomia tra contenitore e contenuto
A questo ha contribuito la mia esperienza di quindici anni di agenzia dove non solo c’era il lato esecutivo delle cose, ma anche la sostenibilità dell’attività; oltre a fare meravigliosi progetti bisognava portare a casa i risultati. Ho imparato la necessità dell’incrocio tra redditività e progettualità: un progetto deve essere meraviglioso ma anche rispettare requisiti di efficienza.
I progetti devono insomma stare dentro i vincoli che vengono dati, vincoli che sono di carattere, di tempo, di economie, di cultura; tantissimo di cultura. Per farla breve, a un certo punto è apparso molto chiaro che il nostro mondo progettuale stava costruendo contenitori bellissimi e che però questi contenitori andavano riempiti, di contenuto. Per definizione, il contenuto vive se c’è un contenitore, quindi arriva dopo.
Qui abbiamo visto consumarsi il divorzio tra le nostre prospettive meravigliose e qualche cosa che potesse funzionare. Due cose, contenitore e contenuto, che in realtà sono una sola, non facevano lo stesso percorso.
Alla ricerca della domanda giusta
Per chi fa design inteso come progettazione e non come forma pura, diciamo nel senso anglosassone del design, c’è un percorso importante da fare, che parte da una fase di ricerca, di discovery, in cui le cose si mettono in ordine e ci vengono restituite con una ontologia, con le componenti e la struttura di cui è fatto il sistema. Come si arriva a definirli? Si lavora su quattro pilastri tipici fondamentali:
- Obiettivi da raggiungere per una committenza
- Bisogni da risolvere per le persone che stanno dall’altra parte
- Contenuto, cose da dire
- Concorrenza
Quando si entra in questi quattro ambiti e lo si fa in maniera ragionata, in maniera strutturata, anche in maniera artistica per carità, però con un metodo, si arriva a far cosa? A definire la domanda giusta. La maggior parte dei progetti che muoiono danno la risposta giusta alla domanda sbagliata. Oggi il vero punto è la definizione della domanda.
Ho sempre visto affrontare questa complessità sul piano della progettazione dei contenitori, ma mai sul piano del contenuto, perché chi si occupa di contenuto viene chiamato dopo che questo ragionamento è stato fatto.
Contenitore e contenuto stanno nello stesso flusso
A un certo punto però ci siamo accorti che chi si occupa di contenuto strutturato – copywriter, editor – si pone domande di ricerca che per un 60-70 percento coincidono con quelle della ricerca sui contenitori, anche se poi generano output differenti, e ci siamo detti basta con questo spreco.
Architettura, design e contenuto in realtà fanno parte di un flusso comune e da qui è nato il mio concetto di content design. Non è il caso di rievocare i lorem ipsum però, quando si presenta un design con del contenuto finto, si sta presentando niente, una forma che non ha contenuto. Non serve, a noi che dobbiamo portare dell’utilità a qualcuno; il contenuto deve arrivare contemporaneamente al contenitore.
Non esiste contenitore senza contenuti
Il content design quindi parte dagli stessi presupposti dai quali si partiva prima per costruire contenitori e lungo lo stesso percorso fa progettare la struttura, l’organizzazione e le caratteristiche di un contenuto o di un sistema di contenuti (un sito web, una strategia di comunicazione) che fa incontrare gli obiettivi delle organizzazioni con i bisogni delle persone. Questa è la mia sintesi di content design: si mette in campo contemporaneamente alla costruzione dell’architettura la costruzione del senso dell’architettura, perché alla fine è il contenuto che dà il senso a tutto quanto; non esiste contenitore senza contenuti.
Questo articolo richiama contenuti dal webinar Che cos’è il content design in pratica? tenuto da Nicola Bonora per Apogeo Editore il 17 febbraio 2021 in diretta Facebook.
Immagine di apertura di Green Chameleon su Unsplash.
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