Internet non è sempre quel paradiso di libertà che spesso si crede. A svelarcelo, l’ultimo rapporto di Reporters sans frontières, che parla di paesi che lottano attivamente per mettere la museruola alle minoranze.
È la prima volta che un rapporto è costruito sulla lotta giornaliera portata avanti da alcuni stati totalitari contro la libertà di espressione su Internet.
La prima constatazione del rapporto e che “Internet ha fatto esplodere il quadro tradizionale dei rapporti di forza tra gli stati e quelli che producono informazione”.
RSF sottolinea che “i regimi più autoritari legiferano, sorvegliano, censurano con un’energia decuplicata”, ma “a oggi, nessuno stato riesce a controllare realmente il Web”.
Quanto alle democrazie occidentali, “la paura di un Internet incontrollabile, parzialmente amministrato da entità sovranazionali, si traduce in ripetuti tentativi di inquadramento legislativo”.
RSF e Transfert.net stimano “che non serve a nulla erigere un arsenale legislativo ancora più draconiano” e vedono in Internet “uno strumento ideale per aggirare la censura che l’organizzazione combatte in tutto il mondo da 15 anni”.
Lo stato più radicale nella lotta a Internet è, senza dubbio, la Corea del Nord, “solo paese al mondo dove Internet non esiste”.
Nessuna connessione è possibile, perché non esiste alcun fornitore di accessi, ne server, “cosa che non impedisce a Pyongyang di possedere molti siti di propaganda ospitati in Giappone”.
L’Arabia Saudita, che ha autorizzato l’accesso alla Rete nel 1999, si protegge con l’aiuto di un “gigantesco filtraggio degli indirizzi e dei contenuti”.
Per lottare contro la pornografia, “tutte le connessioni a siti nazionali e stranieri” passano attraverso un server installato a Djeddah.
Quanto alla Cina, “che conta già 20 milioni di internauti, ha diversificato gli ostacoli alla libera circolazione” sulla Rete: formazione di una polizia specializzata, controllo esercitato dai fornitori di accessi e responsabili dei siti, accesso vietato a molti siti stranieri, “irruzioni nei cybercafè per controllare i computer”.
Il governo cinese ha anche messo in piedi “un dispositivo legislativo estremamente repressivo”. “In meno di un anno, non sono meni di tre le leggi che sono state adottate” e almeno tre “cyberdissidenti sono attualmente imprigionati”.
Il rapporto, però, non risparmia i paesi occidentali e parla dei tentativi in Francia, Germania e Stati Uniti di far votare leggi restrittive su pressione di magistrati o gruppi ultraconservatori.
“In questi tre paesi, le restrizioni legali alla diffusione dell’informazione su Internet ci sono, oggi ancora per casi eccezionali”, stima RFS.