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Antropomorfizza l’esperienza
Vi sarà capitato di essere in ospedale o in una stazione ferroviaria, di andare verso un distributore automatico per prendere uno snack o un caffè e di trovare scritto in veste di anatema: Fuori servizio. Un’informazione assoluta, che non permette replica e non offre via di scampo.
Quanto può dare fastidio trovare un messaggio del genere? Avete fatto caso che dà più fastidio di quanto ne dia l’inconveniente in sé? Perché sembra fatto apposta per creare disagio e quasi con un certo piacere. Sembra che il distributore ci voglia male, come d’altronde il resto del mondo. Un mondo in cui nessuno ci dà mai una mano, in cui tutti ci creano problemi e noi da soli ce li dobbiamo risolvere.
Ci spiega Donald Norman: Proiettiamo emozioni e opinioni umane in qualsiasi cosa. Siamo biologicamente portati all’interazione e all’interpretazione dell’umore e delle intenzioni dell’altro. Ma non lo facciamo solo con le persone, lo facciamo anche con gli oggetti e gli animali. Nel caso degli oggetti vediamo espressioni nelle loro forme, come mostrato nella prossima immagine, e spesso reputiamo intenzionali o provocatorie le loro azioni o le loro condizioni. (Riferimento: Donald Norman, Emotional Design, 2004, Apogeo, Milano, p.138.)
Nel caso del Fuori servizio, ciò che maggiormente ci disturba è la parzialità dell’informazione: le due parole lapidarie segnalano un problema, una condizione inesorabile. Si limitano a indicare l’ostacolo, ma non aprono la via a nessuna soluzione: manca qualcosa. Il messaggio dovrebbe contenere qualche informazione in più, per esempio dove si trova un altro distributore o il bar più vicino con l’orario di servizio. La conversazione ideale tra una persona e il distributore sarebbe la seguente:
Distributore: “Ciao, sono fuori servizio, mi dispiace.”
Persona: “Uffa! E quindi cosa posso fare?”
Distributore: “Vai al 4° piano dove c’è un altro distributore/Fuori dall’edificio a 200 metri, in via Parini, c’è un bar aperto fino alle 21.”
Chiedo troppo, lo so. Però, perché non provare ad alzare un po’ l’asticella, anche solo come riferimento ideale? E poi, in fondo, non è questo che avviene quando chiamiamo la nostra parrucchiera per un appuntamento? Ciao Cinzia, posso venire mercoledì per un taglio? Se non può, Cinzia non risponde No! e riattacca la cornetta. Cinzia mi dice: No cara, mercoledì è tutto pieno, vuoi venire giovedì alle 16? Anche se mercoledì non posso tagliarmi i capelli sono ugualmente contenta, perché Cinzia mi prospetta una soluzione e non solo il problema.
Cerchiamo interazioni piacevoli e fruttuose con le persone così come con gli oggetti. Quando siamo ostacolati nel raggiungere il nostro scopo, siamo portati a dare la colpa a qualcuno o a qualcosa che nella nostra sfera emotiva diventa il nemico. Se invece percepiamo che qualcuno si preoccupa per noi e cerca di agevolarci, allora diventa il nostro supereroe. Pensiamo alle attribuzioni di potenza che abbiamo nei confronti dei nostri computer, eretti a macchine divine, partner insostituibili e pochi attimi dopo ricoperti di insulti per le loro incapacità e magari lanciati in aria o sbattuti a terra. Il problema di base è il modo in cui funziona la nostra mente. Se le nostre aspettative non sono soddisfatte, la nostra reazione emotiva può essere la stessa, sia che abbiamo di fronte una persona senziente, che agisce con intenzione nei nostri confronti, sia un oggetto inanimato privo di personalità. Arrabbiarsi con i computer potrebbe voler dire arrabbiarsi con chi li ha progettati, così come arrabbiarsi con un messaggio equivale a prendersela effettivamente con chi l’ha scritto.
Problema e soluzione
Comunicare un problema in malo modo diventa il problema. Comunicarlo fornendo un’alternativa è invece un primo passo verso la soluzione e riduce moltissimo la percezione negativa. Guardate i messaggi mostrati nelle due figure che seguono. In entrambi i casi si sarebbero potute fornire informazioni utili per risolvere il problema dell’utente.
Le informazioni che avvicinano l’utente alla soluzione del problema esistono e sono di ottima qualità, ma si trovano altrove. Poste Italiane offre, sul suo sito, un servizio che si chiama Cerca Cassette Postali, mostrato nella figura qui sotto, che, come spiega la guida, funziona così:
Inserendo un indirizzo, un CAP o un luogo d’interesse nel campo di ricerca trovi le cassette postali più vicine entro il raggio di 10km. Puoi utilizzare la ricerca avanzata per variare il raggio di ricerca e selezionare la fascia oraria di ritiro. (Servizio cerca cassetta postali, Poste.it,
http://www.poste.it/online/cercacassette/index.shtml
.)
Questa è la risposta alla domanda dell’utente se questa cassetta non funziona, cosa posso fare in alternativa? Le aziende hanno le risorse per creare delle buone interazioni, ma spesso se le dimenticano. L’Arpa, l’azienda Autolinee Regionali Pubbliche Abruzzesi, per ogni tratta servita dispone di una mappa completa delle fermate consultabile sul suo sito e mette a disposizione un numero verde chiamando il quale è possibile conoscere i percorsi dei suoi autobus. In entrambi i casi, non sarebbe stato difficile integrare i due livelli dell’informazione: esistenza del problema + proposta di soluzione. Nel caso della cassetta postale guasta, si sarebbe anche potuto mantenere lo stile di emergenza del foglio appiccicato con il nastro adesivo, attaccando una mappa con le cassette postali più vicine. Avrebbe di certo fatto il suo lavoro e migliorato l’interazione con gli utenti, perché chi si trova a non poter usare quella cassetta o quella fermata può immaginare che ce ne siano altre nei paraggi, ma non sa dove esattamente. L’alternativa tutta digitale è di indicare il riferimento del servizio online segnalando il link, ma alle volte è apprezzabile far risparmiare alle persone una ricerca in Rete e fornire direttamente l’informazione che serve. Limitarsi a comunicare un disservizio significa dare un’informazione incompleta e di bassissima usabilità, ma soprattutto significa dimostrarsi poco attenti e collaborativi.
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