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Casinò online vietati agli internauti dei Paesi Bassi

15 Luglio 2003

Casinò online vietati agli internauti dei Paesi Bassi

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Una corte olandese ha condannato 21 società a vietare l'accesso ai propri servizi di casinò virtuali agli internauti dei Paesi Bassi, basandosi sulla sussistenza, nel settore, del monopolio dell'impresa Lotto.

La Corte olandese di Arnhem, con una sentenza del 1° luglio 2003, ha condannato 21 società che proponevano scommesse on line, a filtrare i propri visitatori, in modo da impedire l’accesso ai loro siti agli internauti residenti nei Paesi Bassi.

Con gli oltre 1.400 siti attualmente disponibili, i casinò on line rappresentano un mercato internazionale in continua ascesa, con un giro d’affari che, secondo gli analisti, continuerà ad aumentare da 7 miliardi di dollari nel 2001, a oltre 20 miliardi di dollari nel 2005.

La maggior parte di questi siti sono gestiti da società situate in paesi come Antigua, Belize, Costarica, Canada o Australia, nei quali le legislazioni consentono il libero allestimento di case da gioco.

La società Lotto – l’impresa pubblica incaricata di gestire tutti i giochi d’azzardo nei Paesi Bassi – ha depositato una denuncia nei confronti di 21 società straniere, situate in 10 stati diversi, contestando il fatto che questi siti sono accessibili sul territorio olandese.

I giudici hanno condannato le case da gioco virtuali a bloccare gli accessi ai loro servizi ai solo internauti residenti sul territorio olandese, motivando la propria decisione con il fatto che la legislazione nazionale prevede che tutte le attività da gioco siano soggette ad autorizzazione preventiva e che tutti i siti che offrono agli internauti olandesi tali attività devono anch’essi sottostare a tali regole.

Su questa interpretazione, però, è possibile entro breve un’inversione di tendenza.
La Corte di Giustizia delle Comunità europee, infatti, è già stata chiamata a verificare la compatibilità della legislazione italiana sulle scommesse sportive, con le disposizioni dell’art. 49 del Trattato, che garantisce il libero esercizio delle prestazioni di servizi all’interno dell’Unione europea.

Più precisamente, le autorità italiane hanno citato in giudizio oltre un centinaio di siti che raccoglievano scommesse su incontri sportivi, per inviarle, via Internet, ad un allibratore britannico, che confermava l’effettuazione della scommessa, azionando poi il pagamento delle somme dovute.

Le autorità italiane hanno ritenuto che un comportamento di questo tipo fosse in contrasto con la legislazione relativa alle scommesse sportive, che ne affida il monopolio al Coni. La questione è stata sottoposta alla Corte di Giustizia europea.

Nel corso dell’udienza tenutasi il 13 marzo 2003, l’avvocato generale ha chiesto alla Corte di considerare che “l’art. 49 e seguenti del trattato CE che concernono la libera prestazione di servizi, devono essere interpretati nel senso che una regolamentazione nazionale, che vieta a mezzo di sanzioni penali, a chiunque e ovunque, l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, principalmente su competizioni sportive, non è con esso compatibile, qualora tali attività siano esercitate da, presso o attraverso un organizzatore di scommesse avente sede in un altro stato membro e che esercita la propria attività in maniera lecita e nel rispetto delle legislazione in vigore in questo stato”.

Se questa interpretazione verrà accolta, l’Italia e i Paesi Bassi saranno tenuti a rivedere le proprie posizioni ed ammettere la legalità dei casinò virtuali europei nei loro rispettivi territori.

L'autore

  • Annarita Gili
    Annarita Gili è avvocato civilista. Dal 1995 si dedica allo studio e all’attività professionale relativamente a tutti i settori del Diritto Civile, tra cui il Diritto dell’Informatica, di Internet e delle Nuove tecnologie.

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