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Caccia al tesoro digitale

22 Luglio 2003

Caccia al tesoro digitale

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Un content manager analizza un contenuto particolare della Rete: il denaro

1996, Nicholas Negroponte: “Quello che oggi conosciamo come monete e denaro cartaceo diventerà bits. Non intendo carte di credito e di debito o sistemi di contabilità di quel tipo. Intendo valori come bits conservati sul vostro hard disk o nel vostro portafoglio elettronico. L’anonimato, l’universalità e la possibilità di effettuare piccoli pagamenti sono solo alcuni dei vantaggi. Il denaro liquido è solo una piccola parte del nostro attuale sistema monetario ma pensiamo, per un momento, ad un mondo dove i governi non stampano denaro, ma lo fanno altri… o pensiamo a dei sistemi di pagamento non in dollari, ma in micropennies. Il denaro digitale rende il commercio digitale reale”.

Moltissime banche, italiane e internazionali, hanno siti vetrina per dare informazioni sui servizi offerti, sulle possibilità di investimento, sull’andamento dei fondi. Informazione non realmente interattiva, se non per la possibilità offerta all’utente di navigare in maniera (non sempre) intelligente: l’uso delle potenzialità della rete è assai basso e quindi non ancora “pericoloso”.

Per il settore bancario tradizionale Internet rappresenterà sempre più una minaccia come Napoleone per l’Ancien Regime di Francia: dal sistema economico monetario introdotto nel 1.100 si sta passando ad una nuova economia digitale caratterizzata da bassissimi costi delle transazioni (è di questi giorni una simpatica pubblicità di Microsoft sul costo delle transazioni), competizione in tempo reale ed assenza di filiali sul territorio.

Da anni si fanno esperimenti di Internet Banking. La banca dà la possibilità di svolgere on line una serie di operazioni di norma effettuate in filiale o allo sportello Bancomat: la consultazione in Rete del proprio estratto conto, la verifica dell’esito di un assegno o dell’andamento dei propri investimenti, e così via. Operazioni che devono svolgersi in sicurezza: l’identificazione dell’utente deve essere certa, in modo da garantire che qualcun altro non possa accedere ad informazioni che non lo riguardano; il sistema che ospita le informazioni deve essere protetto da accessi esterni fraudolenti, e nel loro tragitto telematico dalla banca al pc i dati devono viaggiare in forma cifrata e sicura, per evitare intercettazioni.

Le tecnologie attuali consentono buoni livelli di sicurezza, e non stupisce che anche in Italia diverse banche abbiano avviato, o stiano sperimentando, forme di Home Banking perché le transazioni sono a più basso costo e si rivelano più convenienti per la banca e per il cliente non solo delle operazioni allo sportello, ma anche di quelle svolte per via telefonica o attraverso sportelli automatici. La Cassa di Risparmio di Firenze e la Cariplo sono state le prime banche italiane ad aver introdotto l’Internet Home Banking la cui potenza aumenta quando viene associato all’impiego, da parte dell’utente-cliente, di un software specifico di gestione finanziaria e patrimoniale, in grado non solo di scambiare con la banca informazioni sulle operazioni sul conto (estratto conto, saldo, etc.), ma anche di integrarle con le informazioni, fornite dal cliente, riguardanti le scadenze di pagamento, gli investimenti, l’uso delle carte di credito, l’eventuale disponibilità di più conti correnti.

Ma, come dice Negroponte, “il denaro liquido è solo una piccola parte del nostro attuale sistema monetario” e la diffusione del commercio elettronico creerà “un mondo dove i governi non stampano denaro, ma lo fanno altri…”, le banche virtuali.

Si tratta (hic sunt leones) di una tipologia più avanzata di utilizzazione di Internet che si trasforma da semplice mezzo di collegamento fra la banca e il proprio cliente a sede (ambiente) della banca.

Banche virtuali come la Mark Twain Bank compiono, con denaro reale o elettronico, dotato tuttavia di un proprio valore reale, operazioni analoghe a quelle che compiono le normali banche. Ma la sede può essere benissimo un appartamento in qualsiasi posto del pianeta, senza bisogno di un gran numero di agenzie sparse per il paese o per il mondo. Banche di questo tipo sfruttano la condizione immateriale delle transazioni bancarie e finanziarie internazionali per far viaggiare attraverso la Rete non solo informazioni sul denaro, ma i soldi stessi, che sono informazione: quella che è da sempre una prassi per gli istituti di emissione centrale e le grandi banche internazionali, che più che scambiarsi banconote si scambiano scritture contabili e numeri, con la Rete viene estesa al risparmiatore che può aprire un conto corrente, pagando in valuta, con un bonifico bancario o attraverso una carta di credito.

I soldi vengono (se lo si vuole) convertiti in moneta elettronica, ma anziché essere restituiti in questa nuova forma per essere spesi in Rete vengono conservati dalla banca, che provvederà a investirli e pagherà un interesse prefissato; la Banca Virtuale permette così di scegliere se investire il proprio denaro in valuta elettronica o in una qualsiasi delle principali valute internazionali, a partire da dollaro, yen o euro. A valute diverse corrisponderanno naturalmente tassi di interesse diversi. Via Internet si può effettuare la gestione completa dei versamenti bancari: ordinare bonifici e trasferimenti di valuta, conversioni da una valuta a un’altra, acquisto di azioni o di partecipazioni finanziarie di altro genere, e infine, volendo, ritirare i soldi.

Nel 1997, in un discorso sul commercio elettronico, Bill Clinton affermò che “il commercio mondiale relativo al software dei computer, prodotti per lo svago (film, video, giochi e dischi), servizi di informazione (banche dati, giornali on line), informazioni tecniche, licenze per la vendita di prodotti, servizi finanziari e professionali (consulenze d’affari e tecniche, accounting, progettazione architettonica, consulenze legali, servizi turistici, ecc.) rappresenta da solo ben oltre 40 miliardi di dollari di esportazione”. Tutto questo passerà sul web, in quello che Francesco Carlà chiama il Simulmondo.

Questa Rivoluzione napoleonica farà sentire i propri effetti sui governi che faticheranno non poco a tassare il commercio in rete con conseguenti ripercussioni sulle entrate degli Stati: se un’azienda di Milano vende un servizio attraverso Internet ad un’azienda in California e richiede il pagamento in Giamaica, cosa ne sarà dell’IVA? E delle tasse sui redditi? L’evasione consisterà nell’individuare il modo di essere pagato e poter successivamente spendere i soldi senza essere individuato: l’economia digitale è anonima ed universale: globale. Il denaro digitale, a differenza delle informazioni su di esso, non è contabilizzabile, diventa e-cash facile da “nascondere”, addirittura nel solco di una canzone di John Lennon!

Nel cyberspazio è difficile capire chi crea il reddito. La crescita di questi nuovi modelli bancari dimostra la forza della globalizzazione del denaro che sfida i legislatori dei singoli governi, che perderanno la pazienza quando la finanza digitale minaccerà fortemente la spesa e le entrate degli Stati.

In un’intervista del 1996, Luc Soete, presidente del Gruppo di esperti di Alto Livello sulla Società dell’Informazione della Commissione Europea, ha suggerito di sostituire l’IVA con la bit tax: un centesimo di Euro per ogni Megabit di dati trasmessi o ricevuti. Resta difficile per le autorità costituite tassare o inserire barriere commerciali ad un’entità extraterritoriale come il “denaro digitale su Internet” che è già di per sé oltre il controllo dei governi: perché si fa esso stesso governo. Mentre l’accesso alla Rete non riconosce frontiere, gli Stati si fondano sulla costruzione delle frontiere per creare barriere e tasse.

Il fantafuturo sarà una moneta aziendale multinazionale che prenderà il posto di quella stampata dagli Stati?

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