Ad uno dei primi convegni su Creative Commons cui ho assistito, uno dei relatori disse una frase destinata a rimanermi in testa fino ad oggi: Creative Commons ha semplicemente dato un nome a ciò che già esisteva.
Non ricordo bene chi fosse stato a dirla e quale fosse l’occasione; ma ricordo che fin da subito capii come, se da un lato depotenziava l’aura di grande innovazione del progetto, dall’altro lato si trattava di una grande verità comprensibile solo per i più attenti conoscitori della cosiddetta società dell’informazione.
Il concetto alla base di quell’affermazione è che la condivisione, lo sharing, la voglia di liberare le proprie opere da alcuni vincoli del copyright per farla circolare in rete più facilmente, è un fenomeno connaturato a Internet e alle rivoluzionarie potenzialità di comunicazione che essa offre.
Ma noi sappiamo che l’idea delle licenze Creative Commons (arrivata, ricordiamolo, a inizio degli anni 2000) deriva a sua volta dal modello del software libero, più anziano di quasi 20 anni; e che in realtà ancor prima si sono registrati movimenti culturali che potremmo chiamare no copyright all’interno del movimento cyberpunk.
Nei giorni scorsi però un curioso tweet di tale Laura Bang ha dimostrato che forse le radici di questa idea sono da ricercare ben più indietro.
"Newspapers & magazines are at liberty to quote freely from this book with due credit." 1916. Proto @creativecommons! pic.twitter.com/ILu5bdg82K
— Laura Bang! (@laurabang) June 19, 2014
Infatti il libro nella foto è datato 1916 (quasi un secolo fa!) con un chiaro disclaimer no copyright, che sembra concentrare in due righe gli effetti di una CC Attribution:
NO COPYRIGHT – Quotidiani e riviste hanno facoltà di riportare liberamente parti di questo libro, con indicazione della fonte.
Come precisato dall’autrice del tweet (la quale, lavorando come bibliotecaria a Philadelphia ha avuto il privilegio e la fortuna di incappare in questo cimelio) il libro in questione è A conclusive peace di Charles Fremont Taylor, saggio storico-politico edito originariamente da The John C. Winston company.
Lancio quindi un contest rivolto a tutti i bibliofili, bibliotecari e anche antiquari che trattano libri antichi. Se trovate un cimelio ancora più antico contenente esempi di proto-copyleft, fotografatelo e twittatemelo il prima possibile. Ne terremo traccia anche tra i commenti a questo post.
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