Settimana scorsa si è tenuto Women in Open Source Week: un evento internazionale per celebrare le donne impegnate nelle community open source. Iniziative di vario tipo si sono susseguite dal 27 gennaio al 7 febbraio, toccando le principali community di sviluppo aperto: da RedHat a OpenStack, da Joomla! ad Arduino, dai progetti Wikimedia al mondo accademico.
Mi sono messo in testa di scrivere un articolo sul fronte italiano di questa iniziativa e ho sguinzagliato tutti i miei contatti locali per scovare qualche iniziativa, anche piccola, di cui parlare. Esito: zero. Anzi, addirittura le donne da me interpellate (note frequentatrici dell’associazionismo open source italiano) hanno dovuto ammettere di non essere nemmeno a conoscenza della manifestazione.
Peccato. Una simpatica occasione persa. Ma davvero le donne geek sono una specie così rara nel Belpaese? E perché? Una delle interpellate si è prestata almeno per cercare di rispondere a questa domanda. Si chiama Annalisa Minelli e commenta così:
Inutile negare che il problema alla base è di carattere storico-culturale. Tranne rari esempi, la donna italiana non è ancora nelle condizioni di sentirsi pienamente emancipata. Va a finire che le giovani donne imparano più facilmente a fare la pasta (e questo è anche il mio caso!) che ad usare il computer… figuriamoci poi a programmare. [Sorride] L’open source inoltre risulta ancora un tema di nicchia e poco conosciuto, nonostante l’idea rivoluzionaria di Stallman abbia ormai circa trent’anni. Tuttavia sono fiduciosa perché in Italia ci sono diverse eccellenze, che riguardano un po’ anche questo campo; e le comunità attive attorno al software libero stanno crescendo sempre di più, anche nella loro componente femminile.
Annalisa ha una laurea in Ingegneria Ambientale e un dottorato di ricerca in Scienze della Terra e Geotecnologie ed è molto attiva nella community italiana dei software per georeferenziazione e dei dati geografici liberi (vedi GFOSS.it). Ovviamente si trova all’estero a fare ricerca in campo open source, per la precisione presso il Technopôle di Brest-Iroise.
Ricordo che la incontrai la prima volta qualche anno fa ad un workshop in Umbria; e lei non mi insegnò a fare la pasta, bensì a installare una macchina virtuale su Ubuntu. Io – asino – non imparai (in compenso me la cavo abbastanza con la pasta).
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