“Settori quali quello dei software gestionali per l’inventario e dei server Linux si collocano quasi in fondo alla lista degli investimenti più importanti.” Questa l’annotazione degli analisti di Goldman Sachs a margine di un’indagine che mirava a stabilire l’ammontare stanziamenti imprenditoriali per le tecnologie dell’informazione. Basato su un campione di 100 dirigenti scelti a caso tra le aziende comprese nell’elenco Fortune 1000, la ricerca ha destato qualche “sorpresa” proprio rispetto allo scarso interesse evidenziato nei confronti del sistema open source, che in sostanza non compare neppure nelle risposte fornite dagli interpellati. I quali pongono invece in testa alla lista i sistemi operativi Windows 2000 o XP Professional per desktop, insieme al software di sicurezza e ai server Unix.
Quasi il 65 per cento dei dirigenti intervistati dichiarato di non avere intenzione di utilizzare Linux nella propria azienda entro il prossimo anno. Il 24 per cento si è detto disposto a provare Linux soltanto in aggiunta a Windows e Unix; un misero 3 per cento ritiene che Linux sarà il sistema su cui gireranno i server della propria azienda da qui a tre anni (il 60 per cento opta tuttora per Windows). Insomma, nonostante il gran parlare che se ne fa da tempo, sembra che la maggiore imprenditoria USA preferisca andare sul tranquillo ricorrendo a sistemi più che collaudati. D’altronde anche IBM, che va investendo miliardi di dollari nell’open source, ne ribadisce i limiti confermandone lo “stadio iniziale”.
Ciò detto, va tenuto a mente come in realtà lo scenario sia alquanto complesso e in continua evoluzione. L’inchiesta sembra confermare soprattutto le priorità d’investimento, e Linux non vi rientra, sia perché non è il momento di rischiare sia perché, come già noto, Windows è considerata comunque una scelta sicura e “conservatrice,” in particolare in ambito desktop. Inoltre, secondo altri esperti come il Robert Frances Group, se è vero che molte aziende abbiano deciso di rimandare i progetti a lungo termine, “l’impressione che abbiamo ricavato è che molti dei nostri clienti siano davvero interessati a Linux”. Aggiungendo che l’interesse verso quest’ultimo varia da industria a industria, con le società che si occupano di servizi finanziari sempre in fila nell’impiego dell’open source.
Sembrano invece ben più positive per il pinguino le notizie in arrivo dal continente asiatico. I produttori paesi quali Giappone, Corea e in parte Cina stanno facendo a gara per lanciare quanto prima vari modelli di PDA con Linux embedded. Da notare come il recente sbarco in Giappone di Palm, seguito a ruota da Handspring, Sony e da società locali che riprendono il Pocket PC di Microsoft, vada rosicchiando fette del mercato interno a Sharp, tradizionale azienda-leader anche nell’intero settore. In tale contesto, il passaggio a Linux segnala a decisione di conquistare maggiore competitività sia a livello nazionale che all’estero. Ecco quindi che, pur se con qualche ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista, Sharp si appresta a commercializzare lo Zaurus SL-5000D Linux/Java PDA. Integrando il sistema proprietario Zaurus OS con l’open source, il modello si annuncia tra i primi dotati di capacità wireless per la telefonia mobile con il provider locale NTT.
La speranza di Sharp è che entro un anno dal lancio del PDA Linux/Java gli sviluppatori indipendenti abbiano messo a punto qualcosa come 10.000 programmi in grado di girarvi. Al di là delle cifre specifiche, la strategia sembra confermare le previsioni di alcuni esperti. Linux si porrà cioè come terzo incomodo del settore, a fianco di Palm e Windows, alterando alquanto lo scenario attuale. Lo conferma il gruppo Gartner, secondo il quale nel 2004 il mercato globale dei PDA raggiungerà quasi le 34 milioni di unità; l’anno scorso si era a poco più di 9 milioni, con un 75 per cento appannaggio di Palm OS. Ma, appunto, sono in molti ad attendere i risultati dei grandi investimenti di Sharp e di altri produttori asiatici. Tra questi va incluso anche IBM Japan, recentemente alleatasi con Citizen per realizzare un computer da polso basato su Linux. Il prototipo del WatchPad 1.5 utilizza Bluetooth e offre opzioni quali sensore, microfono, speaker e pannello a tocco.
Ancora, la software house indipendente Axe ha messo a punto la versione Linux per un palmare (in commercio a inizio anno) che va acquistando sempre maggiore popolarità, l’iPAQ Pocket PC di Compaq, finora con Windows pre-installato. Simile l’andamento in Corea, con G.Mate che ha annunciato l’arrivo di un palmare Linux in diretta concorrenza con i modelli Samsung/Windows. Inoltre, entro la primavera 2002 è atteso il primo PDA del maggior produttore di soluzioni per Linux embedded, Mizi Research, grazie all’apposita partnership con E-Sense Technology. Il nuovo Linu@ mira alla moltitudine di utenti che useranno svariate applicazioni su tali PDA, inclusi browser per il Web, client e-mail e programmi per multimedia. Secondo il giornale Korea Times, entro un anno il 30 per cento del mercato coreano dei sistemi per PDA spetterà proprio a Linu@. Infine in Cina, il governo è sempre più interessato all’open source, mentre i maggiori produttori lo vanno pre-installando sui server e sui comuni PC. Uno scenario che potrebbe rivelarsi soltanto la classica punta dell’iceberg.