Alcuni argomenti che affronto nella mia attività di divulgazione hanno sempre appeal, mentre altri che lo meritano rimangono in una luce minore, come interoperabilità e standard aperti. Sono temi generalmente percepiti come ipertecnici e riservati agli addetti ai lavori e di conseguenza sminuiti nella loro importanza.
Da qualche anno a questa parte sono infatti convinto che il dibattito sull’openness si sia fin troppo focalizzato sul lato software e non sufficientemente sul lato degli standard e dei formati. È un ecosistema fatto di standard aperti e condivisi e realmente ispirato all’interoperabilità, a rappresentare il primo requisito essenziale per un mondo di tecnologie open. D’altro canto, ce ne facciamo poco del codice sorgente di un’applicazione se poi i formati con cui vengono diffuse le informazioni e i protocolli secondo cui le macchine interagiscono tra loro sono chiusi, poco trasparenti e controllati da una cerchia ristretta di soggetti.
Ecco però che in questi giorni il famoso tema per soli addetti ai lavori è tornato a fare capolino nelle news, non solo tecnologiche. Il 22 luglio, il governo britannico ha infatti annunciato la formale adozione di formati aperti nell’ambito della pubblica amministrazione, con una espressa indicazione a favore dei formati PDF/A o HTML per la semplice diffusione di informazioni (ad esempio attraverso il web) e di ODF per la condivisione di documenti di lavoro prodotti o gestiti dalla pubblica amministrazione.
Nel comunicato si trovano riassunte in tre punti chiave le motivazioni che hanno ispirato questa scelta:
- Cittadini, imprese e organizzazioni di volontariato non avranno più bisogno di un software specifico per aprire o lavorare con i documenti governativi.
- Le persone che lavorano nel settore pubblico saranno in grado di condividere e lavorare con i documenti nello stesso formato, riducendo i problemi dovuti al passaggio da un formato all’altro.
- Le organizzazioni governative potranno scegliere le applicazioni più adatte e convenienti, sapendo che i loro documenti funzioneranno sia per le persone all’interno che per quelle all’esterno del governo.
Fa sorridere che, a ben vedere, una norma del genere già esista nell’ordinamento italiano, il solito articolo 68 del Codice Amministrazione Digitale, in vigore nella sua ultima e più chiara formulazione già da un paio d’anni e che continua ad essere spudoratamente ignorata dai dirigenti delle pubbliche amministrazioni italiane.
Per scrupolo ho verificato (per esempio sulla Gazzetta Ufficiale) e posso garantire che quella norma è scritta in lingua italiana corrente e non nell’alfabeto klingoniano. Allora qualcosa non mi quadra. Vedremo se gli inglesi (il cui ordinamento giuridico è da secoli modello virtuoso di funzionamento) sapranno dare effettività a questa norma fin dall’inizio o se anche loro rimarranno invischiati in dinamiche di mercato e tecnologiche più forti del diritto.
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