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Brigaterosse.it, il senso di un sequestro

03 Aprile 2002

Brigaterosse.it, il senso di un sequestro

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Il sito Web www.brigaterosse.it e le sue varianti .org e .info sono sotto sequestro, eppure il loro contenuto rimane liberamente disponibile nei meandri della Rete. Una contraddizione che obbliga gli utenti della Rete a porsi domande difficili sul conflitto sempre più evidente fra Internet e le leggi

Confesso che la mia reazione istintiva alla notizia che la Polizia di Stato aveva oscurato il sito è stata un semplice “hanno fatto bene”. Ai terroristi va impedito di usare la Rete come megafono per diffondere i loro deliri. Fine del problema.

Ma subito dopo mi ha preso un dubbio. Davvero le Brigate Rosse sono così ingenue da creare in Italia un sito che porta il loro nome? Non è l’equivalente online di mettere sopra i propri nascondigli una bella insegna al neon con la scritta lampeggiante “Covo Segreto Brigatisti” e sperare di passare inosservati?

Dopotutto, ogni sito ha un intestatario, che deve immettere i propri dati in un registro totalmente pubblico e facilmente consultabile via Internet da chiunque. Infatti l’ho sfogliato tramite il servizio whois di Geektools.com, trovando nome, cognome, numero di telefono e indirizzo (autentici) degli intestatari di www.brigaterosse.it Possibile che i terroristi dichiarino disinvoltamente i propri dati anagrafici?

Dentro il sito sequestrato

Certo che no. Infatti il sito non è delle Brigate Rosse, è sulle BR. Un dettaglio non da poco, sul quale però molti organi d’informazione hanno preferito glissare. È semplicemente un sito che raccoglie informazioni sull’argomento, tutto qui: informazioni che, va detto, sono reperibili in molti altri siti e libri che nessuno si sogna di sequestrare. Si può discutere sui gusti di chi si diletta a studiare e catalogare pagine così tristi della storia italiana, ma di certo non si può sostenere che www.brigaterosse.it è un luogo di ritrovo e coordinamento di terroristi, e la sua possibile efficacia propagandistica è seriamente compromessa da sezioni più consone ad una ricerca scolastica da terza media, come Le Brigate Rosse secondo Encyclopaedia Britannica.

Un momento. Ma se il sito è sotto sequestro, come faccio a sapere cosa contiene? Semplice: basta immetterne il nome nella Wayback machine, un sito Internet che periodicamente registra delle enormi “istantanee” sfogliabili dell’intera Rete. Si sceglie una delle date per le quali è disponibile la copia del sito www.brigaterosse.it e si può sfogliare il sito sequestrato così com’era a quella data.

Purtroppo chi non sa della Wayback machine non ha di valutare il contenuto del sito sequestrato e capire che non si tratta del covo online dei brigatisti. Il sequestro, paradossalmente, impedisce al cittadino di informarsi correttamente e capire la vera portata della notizia sparata drammaticamente dai giornali. Può soltanto chiedersi chissà cosa c’era, in quel sito, di così terribile da imporne il sequestro. Come adulti, elettori e contribuenti, è difficile non sentirsi trattati con pesante condiscendenza quando qualcuno decide per noi cosa possiamo leggere e cosa no.

Le ragioni del sequestro

I motivi per cui www.brigaterosse.it è stato sequestrato sono, stando al comunicato del Viminale, apologia di reato e istigazione a delinquere. Oltre a contenere informazioni sull’ideologia BR, il sito ospitava un forum ad accesso libero, in cui un partecipante ha inneggiato all’omicidio di Marco Biagi.

Stando ad alcuni giornali, inoltre, questo forum conteneva anche un ben più numeroso elenco di messaggi di ingiurie e di protesta nei confronti delle Brigate Rosse (“Voi siete la rovina del comunismo e del pacifismo democratico”, “Siete fuori dal mondo. Chi vi ha chiamato? Non è più il tempo. Siete soli, poveri e pazzi“), che mostravano chiaramente che la maggioranza degli utenti è contro le BR. Ma non li potremo mai leggere e valutare personalmente, perché sono stati oscurati insieme al resto del sito: le voci di sdegno sono state zittite insieme a quelle dell’apologia.

E qui cominciano le domande difficili. Che senso ha sequestrare o oscurare un sito Web, se comunque gran parte del suo contenuto rimane disponibile altrove in Rete? Sarà certo un atto dovuto dal punto di vista legale, ma in termini pratici è un gesto futile. C’è quindi un chiaro conflitto fra il modo in cui funziona la Rete e ciò che le leggi impongono di fare.

Inoltre sequestrare un intero sito perché un partecipante a un forum, ossia una persona esterna al sito, ha espresso un’opinione che configura il reato di apologia è una reazione sproporzionata, che denota scarsa conoscenza di come funziona Internet. Il gestore di un sito non può materialmente impedire a un visitatore di immettere un messaggio pro BR: al massimo può cancellarlo quando si accorge che è stato immesso.

Per fare un paragone, è come se durante un reportage televisivo in diretta una persona strappasse il microfono al giornalista per elogiare le Brigate Rosse e si decidesse pertanto di mettere sotto sequestro l’intera stazione televisiva. Surreale.

Il conflitto esiste anche fra l’etica della Rete e il modo tradizionale di concepire e applicare le leggi. È tradizione di Internet combattere la catttva informazione usando l’arma della maggiore informazione, non quella della censura, anche in casi estremi come quello del terrorismo. I siti che proclamano teorie sulla supremazia razziale, religiosa o ideologica non vengono oscurati (anche perché non c’è accordo internazionale sui criteri da usare in merito), ma affiancati da altri siti che li smentiscono e ne espongono le contraddizioni.

Autogol

Viene anche il tragico dubbio che un approccio basato sulla censura sia un autogol. L’esperienza in Rete insegna che se si oscura un sito, si stimola la curiosità degli utenti di scoprire cosa conteneva. In Internet questa curiosità è appagabile, e questo ridicolizza il tentativo di censura e chi lo esegue: lo Stato, insomma, non ottiene nulla e non ci fa una bella figura.

Inoltre censurare le opinioni (anche le più becere) è sempre visto come un gesto antidemocratico, segno di imbarazzo se non di debolezza. E se invece provassimo a lasciare esposte al pubblico ludibrio le farneticazioni dei terroristi? Potendole leggere, ci vuole poco per capire di che pasta stantia e ammuffita è fatta questa gente. Non potendole sfogliare, invece, viene sempre il dubbio che abbiano qualcosa di valido e veritiero da dire.

Da episodi tragici come questo sembra chiaro che molte leggi sono state concepite, e avevano senso, per un mondo in cui Internet non esisteva e i mezzi di comunicazione di massa erano in mano a pochi e quindi facilmente sorvegliabili. Il recente pasticcio della legge sull’editoria, che richiedeva di indicare il nome dello “stampatore” (sic) di un sito Web, è un altro ottimo esempio di atteggiamento obsoleto del legislatore. Ma ora Internet esiste e non c’è modo di tornare indietro e spegnerla o cambiarne il funzionamento. Chiunque può diventare comunicatore di massa, nel bene e nel male, e questo cambia tutto. Non potendo cambiare la Rete, dovranno cambiare le leggi.

Anche nel secolo scorso si tentò dapprima di estendere le leggi esistenti a una nuova tecnologia, l’automobile, ma i risultati furono patetici. Si arrivò così a norme costruite su misura per tener conto dei nuovi concetti e delle nuove possibilità offerte dal mezzo: il Codice della Strada. A quando il coraggio di stilare con competenza il Codice della Rete?

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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