Un giorno, in occasione di un corso di aggiornamento sulla proprietà intellettuale, uno dei relatori citò il case study di una grande multinazionale del petrolio che deteneva un cospicuo pacchetto brevetti relativi alle tecnologie per la produzione di energia “verde”.
In una visione naive e troppo rosea del mondo ciò potrebbe essere interpretato come un segno di grande illuminazione e lungimiranza e far pensare che in fondo investimenti sostanziali sulle energie alternative possono essere compiuti anche da parte di un soggetto che nutre interessi in realtà contrastanti.
Ma memore del noto adagio popolare secondo cui a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina, mi è venuto subito da pensare che detenere brevetti non è sempre indice di voglia di investire su una determinata tecnologia; può essere al contrario sintomo di un interesse a tenere sotto controllo uno specifico settore industriale. Significa poter controllare quel settore e, quindi, anche poter fare in modo che quel settore non si sviluppi e non venga a disturbare i miei “affari” in altri settori ritenuti prioritari e più remunerativi.
Quello dell’uso meramente “strategico” della proprietà intellettuale è un tema arcinoto agli studiosi del settore, ma non sufficientemente divulgato tra le “persone comuni”. È questo lo scopo di una efficacissima infografica realizzata da EFF (Electronic Frontier Foundation) proprio con lo scopo di mettere in luce l’assurdità del meccanismo della brevettazione in un mondo volto alla condivisione delle informazioni e delle conoscenze come quello odierno.
Il diagramma, che meriterebbe una traduzione in tutte le lingue del mondo, è intitolato How Patents Hinder Innovation e mostra egregiamente come una brevettazione indiscriminata e ispirata a logiche che risultano non al passo con la società dell’informazione non faccia altro che intralciare l’innovazione. Esattamente il ribaltamento dei valori che stanno alla base del concetto di brevetto.
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