Nuovamente in primo piano l’iter della normativa europea sulla brevettabilità del software. Approvata rapidamente lo scorso anno dal Consiglio Europeo dei Ministri sulle Competitività, tale normativa prevede un’ampia area di brevettabilità ricalcando sostanzialmente la legislazione statunitense. Ciò nonostante l’estesa mobilitazione di aziende, programmatori e utenti di un po’ tutti i paesi europei, e nonostante il precedente voto collegiale dell’Europarlamento opposto ad un simile “brevettabilità all’americana.” Da allora si erano moltiplicate le iniziative di revisione, e le speranze di un concreto ripensamento formale, colpite pero nei giorni scorsi dall’ennesima doccia fredda.
Come riassume un comunicato diffuso da Copydown: “La Direzione generale del Mercato interno, struttura della Commissione responsabile per la Direttiva sui brevetti software, non ha accolto la richiesta formulata all’unanimità dal Parlamento Europeo. Di conseguenza la discussione non ripartirà da zero, come viene richiesto a livello nazionale ed europeo da vari partiti, associazioni, attivisti, operatori del settore. Ad essere portata avanti dal Consiglio dei Ministri sarà quindi la versione approvata nel maggio 2004, che raccoglie solo una piccola parte degli emendamenti avanzati dal Parlamento, e che lascia ampio margine alla brevettabilità dei programmi e delle descrizioni di strutture di dati e processi. Questa versione della Direttiva potrà essere adottata senza ulteriori dibattimenti”.
Un quadro che non fa che aumentare i rischi legati allo sviluppo del software in generale, non solo di quello libero e open source. Come ribadito anche di recente in questo spazio, è infatti evidente il tentativo di amplificare a dismisura le potenzialità di infrazioni alla proprietà intellettuale nel suo complesso scenario che giova ben poco all’innovazione tecnologica e alla libera circolazione delle idee. E come vanno sostenendo da tempo fonti diverse, dati alla mano, in assenza i brevetti sul software l’Europa potrebbe mantenere bassi i costi, stimolare l’innovazione, migliorare la sicurezza e creare posti di lavoro. Mentre parecchi esperti insistono sulle ampie ricadute negative che possono far seguito a questo stato di rischio e confusione legale che si è venuto a creare.
L’ennesima conferma stavolta arriva da Jeremy Mark Malcolm, avvocato specializzato in information technology e internet, uno dei relatori all’imminente Linux conference in quel di Canberra, Australia. Il quale prevede senza mezzi termini che la minaccia di cause legali dovute a violazioni sui brevetti (presunte o reali fa poca differenza) finirà per danneggiare seriamente sviluppo e diffusione di Linux in Europa. Ciò qualora la Computer Implemented Inventions Directive, nella denominazione ufficiale, venga definitivamente approvata nell’attuale stesura.
“È plausibile ritenere che alcuni sviluppatori open source in Europa si fermeranno sotto la minaccia di essere querelati per violazioni di brevetti”, spiega Malcolm. Aggiungendo come forse il fatto cruciale sia arrivare quanto prima a una chiarificazione generale. “Quel che più conta è avere delle certezze, in un senso o nell’altro. Sapere se i brevetti software siano consentiti oppure no. Questa situazione è andata avanti e indietro fin dal 2002 e in qualche modo deve essere sistemata”. Una confusione che risulta assai dannosa anche per aziende e soggetti coinvolte nei primi casi di dispute giudiziarie.
In un articolo correlato che fa il punto sulla complicata situazione, ZDNet UK insiste comunque sulla “democrazia negata” dalla nuova decisione della Commissione Europea. Il cui portavoce ha tenuto a precisare che, pur rifiutandosi di riscrivere o riesaminare la normativa come suggerito dal Parlamento, la “Commissione rimane pronta a rivedere tutti gli aspetti della direttiva” che dovessero essere modificati in aula. Dichiarazione che ovviamente non riceve accoglienza positiva da parte dei molti oppositori, tra cui Florian Mueller, animatore di NoSoftwarePatents, il quale afferma: “Ora ci rivolgiamo al Consiglio Europeo perché dimostri un’attitudine più democratica e riapra i negoziati sulla propria Posizione Comune”. Va infatti ricordato che nel penultimo atto del tortuoso processo in atto, il Comitato per gli affari legali aveva esplicitamente richiesto che la direttiva venisse riscritta da zero, richiesta successivamente ratificata dai membri del parlamento stesso.