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Boom dei furti d’identità, grazie (anche) a Internet

30 Luglio 2003

Boom dei furti d’identità, grazie (anche) a Internet

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Colpiti oltre 7 milioni di statunitensi in un anno, le soluzioni passano anche per banche e enti vari

Uno dei danni collaterali della convergenza digitale è il furto d’identità. Fenomeno forse meno evidente, almeno a livello generale, di altri analoghi quali lo spam o i pericoli della privacy, ma sicuramente in netta crescita, almeno negli Stati Uniti. Dove è sempre più facile incappare in uno di simili “incidenti”, con l’amico di turno pronto a raccontarti l’ultima mazzata che gli è arrivata tra capo e collo: la banca lo ha chiamato per verificare delle spese astronomiche caricate sulla sua Visa nel giro di 24 ore. Scenari, a scanso di equivoci, non certo rari ancor prima dell’avvento di Internet, ma che le tecnologie digitali vanno innalzando a livelli a dir poco preoccupanti. L’ultima conferma arriva da una recente analisi il cui dato centrale deve far riflettere: dal giugno 2002 al giugno 2003, oltre sette milioni di statunitensi sono rimasti vittima di furto d’identità.

Secondo la ricerca condotta dall’agenzia di consulenze Gartner, negli ultimi 12 mesi l’uso dei dati personali di qualcuno per commettere frodi economiche ha compiuto un balzo enorme: quasi l’80 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In pratica, il 3,4 per cento dell’intera popolazione è caduto in qualche modo in questa trappola. Già, perché gli esperti chiariscono un punto cruciale: oltre la metà degli incidenti non sono dovuti all’attività di qualche gang o ladri professionisti, quanto piuttosto ad amici, colleghi e finanche parenti. In tal senso, si tratta di manovre “low-tech”, poiché i dati non vengono trafugati via Internet, pur trattandosi ovviamente di fenomeno deprecabile. D’altra parte è vero che fino a tempi recenti parecchi negozi e stazioni di servizio rilasciavano ricevute con nominativo e numero di carta di credito per esteso, ricevute che finiscono regolarmente nei vari cestini pubblici, a disposizione di eventuali curiosoni. E c’è da scommettere che in cittadine e luoghi in provincia ciò avviene regolarmente tuttora.

Va inoltre segnalato che nel 2002 la Federal Trade Commission USA ha ricevuto 161.819 denuncie per furto d’identità, mentre l’anno precedente si era a quota 86.198 e nel 2000 appena a 31.117. Tra i casi-limite, va ricordato quello del turista britannico Derek Bond, arrestato in Sud Africa su ordine dell’FBI e tenuto in custodia per tre settimane perché scambiato per qualcun altro che ne aveva trafugato l’identità. Ancora, in USA il dato personale tradizionalmente più richiesto da banche, enti e business vari è il Social Security Number, nove cifre che identificano ciascun individuo dal momento della nascita alla morte, e che è d’uopo ricordare assolutamente a memoria. Ebbene, oggi tali cifre sono spesso reperibili online, rivenduti tranquillamente dalle aziende insieme agli indirizzi di clienti e abbonati. Oppure il tutto viene offerto in un comodo pacchetto da a programmi-spia tanto illegali quanto facilmente disponibili sul web — versioni elettroniche della tipica strategia di curiosare tra rifiuti e scartoffie abbandonate in giro.

In aggiunta al tutto, ecco i vari “e-scam” più o meno sofisticati. Nei giorni scorsi l’FBI e i gruppi di consumatori hanno diffuso appelli per mettere in guardia contro false email che apparentemente arrivano da mittenti validi e riconosciuti quali Paypal, eBay o provider tipo EarthLink. I messaggi invitano a visitare un sito web, anch’esso dall’apparenza legittima, in cui si chiede poi d’inserire i propri dati onde “verificarne la correttezza”. Nonostante tali soggetti ripetano da tempo l’inesistenza di una simile pratica, parecchi utenti indaffarati o distratti continuano a cascarci. Una sorta di estensione digitale di quelle pratiche di “social engineering” di cui si serviva alla grande l’ex-superhacker Kevin Mitnick, senza tuttavia mai trarne vantaggi economici. Vale quindi la pena d’insistere con un chiaro avviso per i tutti cyber-utenti: massima prudenza nel fornire i propri dati online, considerata soprattutto l’enorme girandola di e-business attivi, a partire dai comuni e-mail order catalog.

Ma proprio sulla base dell’ultima ricerca, gli esperti se la prendono anche con istituzioni quali banche e agenzie governative. Secondo Avivah Litan, vicepresidente direttore delle ricerche per il gruppo Gartner, in questi casi la possibilità di beccare il responsabile è appena di una su 700, in media. E spiega: “Molte banche, provider di telefonia cellulare e i vari enti che forniscono carte di credito o altri servizi finanziari non riconoscono i furti d’identità in quanto tali.” I consumatori sono colti alla sprovvista e costretti a inenarrabili lungaggini per chiarire la faccenda. L’industria sembra insomma poco prona ad accettare il crimine commesso, danneggiando ulteriormente l’utente e allontanando ancor più la soluzione del problema in termini generali. Di conseguenza, quasi mai le autorità possono risalire a chi ha commesso effettivamente il furto d’identità.

Che fare, dunque? Oltre a insistere con la prudenza e a sensibilizzare il pubblico, bisogna dare una strigliata a enti e business, suggeriscono ancora gli esperti. Sperando qualcosa si muova in tempi rapidi. Lo scorso marzo, ad esempio, finalmente anche Visa ha emanato l’obbligo ai propri rivenditori USA di oscurare le cifre delle carte di credito dei clienti sulle ricevute — ma il limite per apportare questi cambiamenti è esteso al marzo 2006, mentre solo da quest’estate sono disponibili terminali appositamente modificati. (Fonte BBC News)
Una manovra già avviata da Mastercard, il cui limite è anticipato all’aprile 2005 e le cui macchine automatiche per il prelievo di contante già rilasciano ricevute con il numero troncato. Con un ultima segnalazione per le numerose offerte di carte di credito “pre-approved” che primeggiano nella (snail) junk mail: sono numerosissime oggi in USA le agenzie autorizzate a simili offerte, con il risultato che i dati personali del ricevente vengono estratti e diffusi liberamente.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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