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Blogosfera e imprenditoria: matrimonio riuscito?

14 Luglio 2005

Blogosfera e imprenditoria: matrimonio riuscito?

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Risultati alterni nelle sperimentazioni dei blog aziendali in USA, dove funziona più il browsing che lo shopping

Anche la blogosfera diventa adulta, e con la crescita arriva la contaminazione con il Big Business. Corporation, imprenditoria e pubbliche relazioni paiono non poter fare a meno dello zampino dei blog, piccolo o grande che sia. Non che il fenomeno possa sorprendere, vista la poliedricità di ogni creatura maturata nel grembo di Internet. Va piuttosto notata la trasformazione in atto di quello che, giustamente, era stato salutato come il paradiso della libertà d’espressione, il simbolo-principe del potere complessivo acquisito dai singoli, in opposizione alla spinta verso l’e-commerce puro e semplice.

Prendiamo la grande industria, ad esempio. Non è un mistero che dirigenti e impiegati di aziende di ogni tipo e dimensioni vadano popolando la blogosfera, seguendo le orme di nomi quali Microsoft o Sun. Anche in questo settore, i “diari online” bene si prestano ad ampliare l’audience specializzata e super-fidata, oppure a generare curiosità grazie alla sagace diffusione di “voci interne”, o anche a by-passare i media tradizionali in caso di distrazioni o aperte ostilità. È questo il caso della General Motors, che volendo fermare le speculazioni sulla ventilata eliminazione delle serie Pontiac e Buick, ha dato voce al blog curato proprio dal CEO Bob Lutz, il quale si è rapidamente affermato come un blogger assai attento e prolifico, a tutto vantaggio dell’azienda. Risultato: il suo blog vanta 150-200.000 visite uniche al mese, mentre quello curato da Jonathan Schwartz (presidente di Sun) conta 300.000 hit e circa 2.000 impiegati ne hanno uno proprio.

Secondo Intelliseek, agenzia che analizza l’andirivieni dei blog online, almeno un centinaio di società USA hanno un blog ufficiale, sotto il diretto management dei relativi dirigenti. Anche se, ovviamente, il trend non ha nulla a che fare con i “finti blog”, dove talvolta si mimetizzano le campagne di marketing, suscitando le ire dei blogger, vittima illustre è stata la McDonald’s a ridosso del Super Bowl. Neppure è il caso di usarli per pompare a tutto spiano i prodotti aziendali o rintuzzare semplicemente le opinioni di consumatori e media. “Usate il blog per quel che vale di più, la trasparenza”, spiega Steve Rubel, vice-presidente dell’agenzia di PR CooperKatz & Co. Il quale segue e riporta su quest’abbraccio business-blog nel suo spazio dedicato all’impatto “del giornalismo dei cittadini e dei weblog sulle relazioni pubbliche”.

Altro caso salito recentemente alla ribalta è quello di Stonyfield Farm, piccola azienda del New Hampshire dedita alla vendita di yogurt, gelati e altri alimenti organici. I vari blog del gruppo affrontano temi quali i benefici del regime vegetariano, o l’alimentazione di neonati e bambini, con un ampio coinvolgimento del pubblico in discussioni, risorse e consigli, con l’ovvio ritorno di immagine e vendite. Il CEO Gary Hirshberg non nasconde di aver avuto l’ispirazione dal suo breve coinvolgimento nel scalata alla nomination presidenziale di Howard Dean dell’estate 2004. “Rimasi subito colpito dalla forza dei blog nella campagna Dean – spiega Hirshberg -, e mentre vedevo sorgere iniziative analoghe, ho capito che ciò poteva trovare efficace applicazione nei marchi commerciali”. Sempre che, oltre ad aderire a principi di trasparenza e interazione, questi non vengano usati per diffondere informazioni interne o riservate, come ha fatto invece Mark Jen, almeno secondo il proprio datore di lavoro, nientemeno che Google, che lo ha licenziato in tronco.

Intanto per i piccoli imprenditori online, i blog si dimostrano lo strumento ideale per attirare nuova clientela e far tornare acquirenti passati. È quanto vanno sperimentando situazioni quali Bluefly.com, Ice.com, eHobbies. Il blog di quest’ultimo, che vende mini-elicotteri comandati a distanza e altri sofisticati giocattoli, include le foto degli impiegati e dell’ambiente di lavoro, “aiutandoci così a chiarire che siamo degli appassionati e a dare un volto umano all’azienda”, sostiene il responsabile Seth Greenberg. Al momento, tuttavia, il punto per tali aziende sembra essere quello di far tornare gli utenti dal blog al negozio online, ovvero dal browsing allo shopping. Secondo Shmuel Gniwisch, CEO di Ie.com che vende gioielleria online, i tre blog creati recentemente attirano “migliaia di visitatori alla settimana”, ma l’effetto sulle vendite rimane tutto da stabilire. Aggiungendo comunque: “Quello che ci preme è far conoscere al meglio i nostri prodotti; se ci sono anche vendite, ottimo, se non arrivano, va bene lo stesso”.

Ovviamente capita che i “corporate blog”, o comunque quelli curati dagli stessi dirigenti aziendali, diffondano le loro opinioni personali su questioni slegate dalla diretta attività commerciale, con conseguenze di vario tipo. Succede così, ad esempio, che il blog del fondatore di GoDaddy.com, società di Web hosting e registrazione di domini, attira fino a 10.000 utenti al giorno. Alcuni dei quali, però, non sembrano gradire le opinioni personali del proprietario, Bob Parsons, il quale si è schierato con il governo USA rispetto al trattamento dei prigionieri a Guantanamo Bay. Molti lettori di posizione contraria hanno prontamente commentato sul blog, aggiungendo di aver sconsigliando ad amici e vicini l’uso dei servizi di GoDaddy.com. Eppure, puntualizza lo stesso Parsons, “ciò ha funzionato anche in senso opposto… sono contento del fatto che, quando la gente usa i nostri servizi, lo fa anche per le nostre convinzioni, non perché siamo solo un nome con un URL su Internet”.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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