Torno sul tema del rapporto complicato tra tecnologia e arti liberali, che ha raccolto interventi tanto contrastanti quanto significativi, per analizzare la tematica da una angolazione quasi opposta: che cosa succede quando le arti liberali mettono le mani sulla tecnologia.
L’occasione giunge dall’intervista concessa a Fast Company da Stefan Sinclair, associate professor of digital humanities presso la facoltà di Lingue, letterature e culture dell’università McGill di Montreal in Canada. Nell’introduzione si descrive Sinclair come un nuovo tipo di docente che porta una sensibilità umanistica nell’elaborazione e sfrutta le metodologie Big Data per porre nuovi generi di domande sulla letteratura.
Intrigante. Più che altro, estremamente indicativo sull’opportunità di superare le barriere tra scienza e umanesimo che alcuni ritengono inevitabili, o necessarie, quando invece l’ordine digitale delle cose può coniugare il tutto con risultati nuovi e freschi. Sentiamo Sinclair:
One thing that’s compelling about digital humanities is being able to ask questions at a scale you can’t ask without computers. Really, most humanities is very exclusionary–we don’t have time as humans to read a lot of text. So all English studies are a matter of excluding, choosing texts we’re interested in and leaving aside others. With computers, we can now ask questions of, say, all novels in the 19th century. Sometimes that’s called “distant reading”–as opposed to the more traditional literary practice of close reading. You can also combine close and distant reading, when you want to look at a few novels, but offer a comparison to a larger context of novels.
L’intervista accenna a esperimenti e ricerche che sconcerterebbero i nostri vecchi professori di italiano. Ricerche sull’efficacia dei quotidiani nel prevedere la primavera araba come sul sopraggiungere della demenza senile negli scritti di Agatha Christie; progetti online che effettuano analisi testuali di pagine Web invece che simulare tridimensionalmente opere teatrali.
Confesso che, proveniente da studi prettamente letterari su cui si è innestata una passione per il digitale, provo attrazione per questo tipo di lavoro già al momento di scoprire che viene usata una dizione come digital humanities. E invito a prestare particolare attenzione a quest’altro passaggio dell’intervista, in cui si chiede conto dell’equilibrio tra digital e humanities: non si tratta di trovare risposte univoche, ma di creare nuove e diverse prospettive.
I like the axiom that if you’re holding a hammer, everything starts to look like a nail. One of the core tensions is because we’re using computers, there’s a tendency to go to the scientific perspective of trying to prove something. That’s counter to the humanities approach, which not to converge on singular answers, but instead to proliferate the number of interpretations we have. I am particularly passionate about tools and methodologies that allow for the proliferation of perspectives–not to prove a hypothesis I have, but to see a text differently and ask different questions.