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Banda larga, manca una visione di sistema

07 Luglio 2010

Banda larga, manca una visione di sistema

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Nel suo intervento annuale il presidente dell'Autorità garante per le comunicazioni alza il livello d'allarme per la visione strategica italiana. Perfino la politica ne sembra ora più consapevole

Manca una visione di sistema, che possa sorreggere il futuro della banda larga italiana. È questo il messaggio più forte che Corrado Calabrò ha dato martedì al Parlamento, nell’esporre la relazione annuale dell’Autorità Garante delle Comunicazioni, di cui è presidente. E quest’anno è stato un Calabrò più agguerrito del solito: l’idea è che l’Autorità si è decisa a scendere in campo, per superare l’immobilismo che ha afflitto la banda larga italiana nel 2009. Complice (o alibi) la crisi economica, negli ultimi mesi si è fatto pochissimo per assicurare un futuro agli accessi internet veloci.

L’allarme arriva in politica

La novità di questo luglio 2010 è che vari personaggi istituzionali si sono resi conto del problema: non si può più attendere, servono accordi tra soggetti pubblici e privati e un intervento del governo, per risolvere l’impasse. A Calabrò infatti ha fatto coro Gianfranco Fini: «Mancano i più volte annunciati investimenti pubblici sulla banda larga, ma soprattutto non emerge ancora, sul tema della rete di nuova generazione, un Progetto Paese. Lo sviluppo delle reti di nuova generazione e le politiche di investimento a sostegno dei relativi progetti costituiscono un vincolo programmatico per tutte le economie più avanzate del Continente». Persino Paolo Romani, vice ministro allo Sviluppo Economico, da qualche giorno sta lanciando messaggi sull’importanza della banda larga in contrapposizione alla tivù. Fino a ieri invece difendeva sempre il diritto delle emittenti a tenersi tutte le frequenze liberate dal passaggio al digitale terrestre. Il vento sta cambiando, insomma. Resta da vedere se non sia troppo tardi e se sia davvero forte la volontà politica e degli operatori a imboccare una nuova strada per il Paese.

Per il resto, i problemi segnalati da Calabrò non sono nuovi agli esperti e ai nostri lettori. Sono due, essenzialmente: banda larga mobile che rischia la saturazione e banda larga fissa senza un piano per il futuro. In entrambi i casi, l’Italia si sta muovendo con grande lentezza rispetto a quanto già stabilito da altri Paesi europei e non, che hanno piani nazionali per la Next generation network e hanno fatto (o annunciato) aste con cui assegnare altre frequenze alla banda larga mobile. Sulla Ngn, nulla di nuovo: Calabrò aveva già detto che in Italia bisogna fare una Ngn unica, laddove adesso c’è un caso di progetti sovrapposti. Il 19 luglio Romani farà un altro incontro per mettere d’accordo i vari soggetti.

La rete satura

La novità maggiore è un’altra: per la prima volta, l’Agcom lancia l’allarme rete mobile satura. Non solo gli esperti, ma anche gli utenti se n’erano accorti da tempo, ma pazienza. Si sa che già ora la velocità reale in mobilità è un quinto di quanto pubblicizzato dagli operatori e in assenza di interventi non potrà che peggiorare. «Io l’avevo detto. Ma non è una grande soddisfazione», dice Antonio Sassano, “padre” del piano frequenze del passaggio al digitale terrestre e docente a La Sapienza. «Almeno però c’è un aspetto importante: abbiamo portato a casa il nuovo piano frequenze, dove per la prima volta Agcom dice che bisogna assegnare spettro del dividendo digitale alla banda larga mobile». In precedenza, nessuna istituzione italiana aveva mai affermato questo principio. Lo spettro va liberato in due modi, si legge nel piano: subito, togliendo alle tivù le frequenze inutilizzate; poi, entro il 2015, facendo un’asta con cui assegnare 300 MHz alla banda larga.

Adesso la palla passa al governo, perché il piano dell’Agcom fissa principi, non norme. Spetta al governo fissare leggi e un’asta con cui dare frequenze alla banda larga, togliendole alle tivù. E non sarà un passaggio facile, perché serve un salto culturale: «Bisogna ridurre lo spazio delle tivù e aumentare quello per la banda larga, nelle risorse assegnate», afferma Sassano. «Romani dice: assegno le frequenze alle emittenti e poi controllo se le usano bene. Ma io non credo a questo meccanismo. Primo perché in Italia non si riprende mai nulla e poi perché le emittenti possono dimostrare facilmente che le stanno utilizzando. Basta che le riempiano con televendite o vecchi film di Totò. Nessuna legge lo vieta», dice Sassano. «Bisogna invece arrendersi all’idea che la tecnologia avanza e la capacità trasmissiva aumenta. Non è più come nell’era dell’analogico. Adesso vanno cinque canali per frequenza, nel 2011 si passerà a 10, nel 2012-2013 si arriverà a 14-15, grazie al Dvb-t2 (nuovo standard del digitale terrestre)», continua. «È impensabile immaginare tutti questi canali riempiti da contenuti delle emittenti, mentre la banda larga mobile soffre per mancanza di risorse». L’Italia deve decidere ora, insomma, se vuole un futuro con centinaia di televendite o uno in cui c’è, per tutti, internet veloce ovunque, in mobilità, e a basso costo.

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