Mike Kazar, David Nichols, John Zsarnay e Ivor Durham dell’università Carnegie Mellon sono passati alla storia mettendo in rete un distributore di bevande gassate. Correva l’anno 1982 e la Rete era qualche nodo, niente di più.
L’esperimento ebbe un enorme successo, nella sua esemplare semplicità. Dopo dieci anni di accessi cresciuti al ritmo della nuova rete impostata sul protocollo http, il sistema è stato descritto in un post che è tuttora in linea ad uso degli storici della tecnologia.
L’applicazione ha inoltre suscitato altre imitazioni più o meno utili, ma riuscitissime in termini di popolarità. La famosa caffettiera elettrica all’università di Cambridge monitorata da una webcam è tutt’ora visibile negli uffici dello Spiegel Online, dopo essere stata acquistata su eBay a oltre tremila sterline e ricondizionata gratis dall’azienda produttrice Krups.
Nel 2001, quando l’università la dismise, gli accessi per vedere lo stato del caffè avevano superato la bella cifra di due milioni e trecentomila. Una Internet of Things un po’ rozza, ma indubbiamente lungimirante.
Oggi è grazie a piccoli web server integrati in un chip, come tutti quelli che popolano il mondo delle schede similari ad Arduino, che chiunque di noi ha la possibilità di attaccare alla rete qualunque apparecchio e quindi monitorarlo dall’esterno. Magari con le motivazioni enunciate all’ultimo Consumer Electronics Show da John Donovan di AT&T:
Voglio solamente che dei miei congegni coordinino altri miei apparecchi e mi lascino fuori dal processo […] Sarà il cellulare il controllo remoto delle nostre vite.
Un’esagerazione? No, siamo solamente agli inizi, come dimostra iKettle, che è una delle applicazioni domestiche più banali, per rimanere in tema di caffettiere intelligenti.
Novantanove dollari virgola novantanove su Amazon e anche noi entreremo in un nuovo mondo. Anzi, in una Cosa.