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Aspra la battaglia sul copyright tra Hollywood e Silicon Valley

10 Maggio 2002

Aspra la battaglia sul copyright tra Hollywood e Silicon Valley

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Opzioni e norme draconiane contro innovazione high-tech...ma saranno mica gli utenti a rimetterci?

“La storia dimostra che nessuno è mai riuscito a fermare la tecnologia. La trasformazione verso i media digitali avverrà con o senza il sostegno di Hollywood.” Questa la presa di posizione non di un ‘pirata’ qualunque, bensì di Andy Grove, Chairman di Intel. Alla quale replica altrettanto secco un altro big industriale, Michael Eisner, CEO di Disney, sottolineando le “pericolose ironie dell’epoca digitale” nonché “l’inimmaginabile minaccia della pirateria digitale.” Formule opposte che vanno attizzando l’infuocato dibattito sul futuro di due grandi settori trainanti dell’economia mondiale, l’high-tech e quello cinematografico. Una controversia centrata sostanzialmente sulla difesa a spada tratta del copyright da una parte e sul sostegno all’innovazione tecnologica e ai supposti diritti degli utenti all’altra. In queste settimane la contrapposizione va esplodendo in piena luce, tra l’attenzione dei media e del Congresso statunitensi. Più distanti i semplici cittadini, la cui opinione sembra non contare poi molto, almeno per il momento.

Per alcuni versi, si tratta di una storia già vista in passato. Non è certo la prima volta che nuovi prodotti tecnologici sono stati apertamente accusati di violare le norme sul copyright. Per restare in tempi recenti, nei primi anni ’80 toccò ai videoregistratori, i cui produttori subirono diverse denuncie legali. Alla fine la Corte Suprema decretò che la “registrazione di video e programmi TV a livello casalingo è un uso legittimo dell’apparecchio,” pur riconoscendone la possibilità di impieghi illegali. Analogo lo scenario tra possibilità di fotocopiare i libri ed editori. Tutte innovazioni che, inizialmente percepite come spauracchio per la proprietà intellettuale e come minaccia ai guadagni degli addetti ai lavori, man mano hanno invece riempito alla grande i forzieri delle stesse aziende coinvolte. Basti ricordare, ad esempio, che oggi le vendite di VHS e DVD raggiungono un terzo degli introiti complessivi dell’industria cinematografica.

Un’industria che stavolta appare invece terrorizzata, incapace di saltare rapidamente sul treno di Internet e dell’high-tech che la supporta. Chiaro, c’è’ di che preoccuparsi. Non è poi così difficile ‘imbattersi’ in aree chat appositamente dedicate al download di film appena usciti. È accaduto (e accade) per titoli di ogni tipo e fattura, a partire da quelli più popolari quali “The Lord of the Rings”. Secondo l’agenzia di ricerche Viant ogni giorno il numero dei film prelevati illegalmente su Internet raggiunge nel mondo la bella cifra di 350.000 unità. Senza dimenticare l’arrivo sul mercato di sofisticati video-recorder digitali. Quello appena prodotto da SonicBlue consente di saltare automaticamente gli spot pubblicitari quando si registra un film in TV e, udite udite, d’inviarne copia via Internet ad un massimo di 15 utenti per volta. Entrambe opzioni che puzzano di bruciato, almeno secondo i dirigenti di Hollywood, i quali parlano esplicitamente di “furti digitali”. Passando ovviamente alle vie legali contro SonicBlue, (il processo è previsto in agosto), il cui apparecchio rimane però in vendita nei negozi.

Ancora: fatto a pezzi Napster, ne rispunta il fantasma sotto altre vesti (e siti), a partire da Morpheus. I cui responsabili sostengono che al contrario di quanto faceva il primo, i “nostri server non hanno alcuna conoscenza dei file scambiati”. Ancora una volta, i giudici dovranno quindi stabilire se le potenzialità illegali del nuovo file-sharing superino quelle legali o comunque ammissibili. Ma anche se le 29 società che hanno denunciato StreamCast (casa-madre di Morpheus) dovessero nuovamente vincere in aula, “tutti i figli nati da questo vivono già di vita propria,” spiega Lon Sobel, professore di legge presso la University of California di San Diego. Ovvero: Morpheus non si basa su un server centrale identificabile e milioni di copie del software sono già state prelevate dai computer di tutto il mondo. È forse possibile controllare e bloccare l’utilizzo che gli utenti vorranno farne? Ha senso bollare e perseguire tutto ciò come semplice ‘pirateria’?

Anzi, anzi: oggi sono le etichette discografiche, e non l’industria cinematografica, a subire le perdite più pesanti a causa di copie e distribuzioni illegali. Quasi 4,5 miliardi di dollari persi, circa un terzo delle entrate totali (13,7 miliardi). Per i film si parla di appena tre miliardi, mentre i guadagni legali toccano i 70 miliardi. Nel campo del software siamo a poco più di 12 miliardi di perdite contro ben 165 miliardi di introiti. Eppure, anziché proseguire nella ricerca comune di soluzioni adeguate (e redditizie) per entrambe le industrie, ecco Disney guidare una cordata a dir poco inviperita contro l’high-tech. Come mai? Semplice: la posta in gioco è enorme, e Silicon Valley viene accusata di tradimento, di pensare solo ai fatti propri, di volersi prendere fette sempre più grosse della torta economica nazionale. Di pari passo con azioni legali a tutto campo, ecco quindi proseguire risoluta la lobby politica. Non paghe dell’approvazione del pur controverso Digital Millennium Copyright Act, Hollywood ora preme per misure ancor più draconiane: la presenza in ogni apparecchio del “Digital Rights Management” (DRM).

PC, periferiche e dispositivi vari, abilitati o meno ad andare online, dovrebbero così dotarsi di opzioni tecnologiche atte a prevenire ogni infrazione al copyright. Ovviamente anche l’high-tech è d’accordo su simili azioni preventive, ma ciò appare decisamente eccessivo. Lo ribadisce persino la potente Business Software Alliance, nelle parole del portavoce Emery Simon: “Siamo fortemente contro la pirateria, ma riteniamo che l’obbligatorietà di simili misure costituisca un’idea enormemente stupida.” Ugualmente contrarie, o quantomeno incerte, le posizioni di altri giganti quali AOL Time Warner, IBM, Cisco e Microsoft. Eppure, le pressioni di Michael Eisner, CEO di Disney, hanno portato alla stesura di un analogo disegno di legge. Ancora in via di definizione per la presentazione in aula, il testo del senatore democratico Ernest Hollings prevede l’introduzione di protezioni standard anti-copia in ogni tecnologia digitale — dai comuni PC con annessi sviluppi alla tanto attesa digital TV. Definito Security Systems Standard and Certification Act, il progetto normativo sposa in pieno la tesi di Hollywood: in futuro non faremo altro che vedere e scambiarci film online, e si sa bene che ogni utente Internet non è altro che un ‘pirata’, almeno potenziale.

Purtroppo, sono proprio gli utenti i grandi assenti dal dibattito (e dalla battaglia) in corso. Gli stessi che, qualunque legislazione dovesse passare o meno, rischiano parecchio in termini di libertà e diritti. Forse prima poi partiranno grandi campagne d’informazione, soprattutto grazie all’attivismo online. Intanto però ha ragione Mike Godwin che così chiude in un lucido articolo su Reason: “Per adesso, nessuno va chiedendo alla gente comune cosa vorrebbe.”

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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