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Apache sempre il primo tra i web-server, ma con vicende alterne

07 Ottobre 2002

Apache sempre il primo tra i web-server, ma con vicende alterne

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Il pioniere Randy Terbush fonda una nuova azienda, mentre stenta a decollare la versione 2.0

Quasi il 60 per cento dei server web gira su Apache, oltre 22 milioni di macchine. Notizia tutt’altro che nuova ma confermata ultimamente dalle analisi non-stop della Netcraft. A riprova del continuo successo di quello che rimane uno dei pochi progetti open source impostisi alla grande nel mondo high-tech. Successo che non pare essere scalfito neppure da un paio di recenti notizie di segno alterno, per quanto non sostanziali. Randy Terbush abbandona la Covalent Technologies, azienda cui si deve la commercializzazione di Apache, per fondare una nuova entità sempre più mirata alle crescenti esigenze imprenditoriali. Mentre la versione 2.0, a sei mesi dal suo rilascio, mostra chiare mancanze, tant’è vero che adottata da meno di 100.000 siti, stando ad alcune fonti bene informate, mentre tutti gli altri preferiscono tuttora affidarsi alla ormai storica release 1.3.

In realtà Terbush, uno dei fondatori originari del progetto, ha deciso di tentare un nuovo exploit: lanciare un’altra azienda con l’obiettivo di aiutare l’imprenditoria a trarre il massimo dalle migliorie offerte dal software open source. La nuova entità, Tribal Knowledge Group, conta inoltre sull’apporto di Dirk-Willem van Gulik, altro programmatore-chiave della comunità Apache anch’egli già coinvolto con Covalent. Presso quest’ultima, Terbush è stato chief executive e chief technology officer, mentre van Gulik ha ricoperto la carica di vicepresidente. Va aggiunto che il primo rimane tesoriere della Apache Software Foundation e il secondo ne è il presidente. La mossa mira ad allargare e differenziare ulteriormente il circuito, quindi: Tribal Knowledge si occuperà assai meno di mettere a punto pacchetti software pre-confezionati, ha spiegato Terbush, per focalizzarsi invece sui servizi di consulenza onde assistere al meglio l’ampio spettro di imprenditori che continuano ad abbracciare la piattaforma Apache.

Terbush prosegue così la sua missione di portare il software open source alle masse, avviata insieme ad altri sette colleghi con quel progetto originariamente pensato come una serie di “patch” realizzate specificamente per un server web già creato dal National Center for Supercomputing Applications. Da qui fondò Covalent nel 1994 allo scopo di fornire hosting per siti web, finendo però quattro anno dopo con la prima release di un proprio pacchetto software, un modulo Apache per rendere sicure le transazioni sul web. Un lavoro, quello di Terbush, certamente sostanziale per il successo passato e presente di Apache. Così lo descrive Stacey Quandt, analista presso Giga Information Group: “Randy Terbush è uno dei primi pionieri dell’open source che, dopo essersi dato parecchio da fare allo sviluppo di Apache, è passato a trasformarlo in un prodotto commercialmente valido.”
Pur se in parte rivale della stessa Covalent, Tribal Knowledge sarà “in gran parte un’azienda distribuita, poichè molti di noi lavorano in remoto oppure direttamente nella sede del cliente,” nelle parole dello stesso Terbush. E d’altra parte diversi esperti di Apache rimangono all’interno di Covalent, incluso Ryan Bloom, membro del direttivo della Apache Software Foundation nonché leader del team che ha messo a punto Apache 2.0.

E qui arrivano le dolenti note. Si supponeva che la nuova versione del software rispondesse efficacemente alle richieste dei numerosi siti ad ampio volume di traffico e ad alte prestazioni, richieste impossibili da esaudire per la precedente release 1.3. Pur con i segnali positivi derivanti da una modularità più estesa nel design, i cambiamenti apportati tendono a spezzare il codice dei vecchi moduli. Ergo, andrebbero tutti riscritti, operazione che dopo sei mesi da Apache 2.0 rimane in gran parte ancora in atto. Ne consegue che le innovazioni inserite risultano di poca utilità per la stragrande maggioranza dei siti che le attendevano con ansia. Ecco perché, ad esempio, l’unica azienda commerciale del giro Apache che lo utilizza è la stessa Covalent, oltre ovviamente alla Apache Software Foundation. Invece IBM e tutte le grandi distribuzioni Linux mantengono attive le versioni 1.x.

Non è chiaro al momento quando si avrà una nuova versione stabile, né in che modo questa supererà in maniera valida i problemi del nuovo modello di sviluppo impostato dal team operativo. Dubbi che giungono soprattutto, com’è ovvio, dai diretti rivali oltre che dalle molte entità direttamente interessati. Qualche esperto sostiene che tutto cambierà quando Red Hat deciderà di adottare Apache 2.0 come default nella propria versione di Linux. Forse andrà così, ma intanto è vero che in generale l’integrazione della nuova versione si rivela lenta e soltanto quando assolutamente necessaria. Situazione comunque non certo troppo allegra per il futuro. Anche se nel complesso, rivela un’inchiesta del Washington Post sulla crisi di Silicon Valley, un trend emergente rimane quello del passaggio a prodotti open source all’interno del mondo info-tech nel suo complesso. Motivo? Con budget e investimenti sempre più risicati, cresce la necessità di spendere meno in software e tecnologie proprietarie. Linux, ad esempio — scrive il quotidiano della capitale USA — sembra “divenuto uno standard sui server e inizia perfino a comparire come PC desktop, inclusa una nuova linea disponibile nei supermercati di Wal-Mart a 199 dollari”.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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