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Anafore, le parole che non ti ho digitato

04 Marzo 2010

Anafore, le parole che non ti ho digitato

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Storie che escono spontaneamente dalla finestra di ricerca digitando l'inizio di una frase, raccondandoci qualcosa in più di noi e degli altri

Google invade le nostre vite. Google spunta in ogni angolo del nostro web. Google potrebbe levarci in un colpo solo mail, documenti, statistiche, video, mappe, conoscenza. Google sa troppe cose di noi. Google è cattivo perché fa vedere i video in cui i giovani si picchiano e fanno le cose brutte. Esagerazioni e battute a parte, il motore di ricerca più famoso del mondo è in effetti diventato una presenza molto ingombrante nella vita degli utenti web, grazie all’indubbia capacità dell’azienda di Mountain View di fornirci alcuni prodotti diventati degli standard. E se a un livello più alto questo genera un dibattito tra addetti ai lavori su posizioni dominanti, rispetto della privacy e necessarie regole e bilanciamenti, anche negli utenti medi e “light” possono nascere delle domande.

Infatti noi ci siamo abituati a molte cose, ma mettendoci nei panni di un utente meno disinvolto appariranno subito una serie di cose che possono ancora impressionare, come il vedere che Google ci propone degli annunci in base al contenuto delle nostre mail, si ricorda del posto in cui ci troviamo e dove volevamo andare, si affretta a suggerirci la domanda che iniziamo a digitare.

A Google puntano ad accompagnarci in ogni momento della nostra vita sempre più connessa, mostrandosi come un amico al quale è normale chiedere senza preoccuparsi di svelare troppo. Loro lo sanno benissimo e, forse, stanno cercando di costruire  una “poetica” intorno a tutto questo. Basta guardare uno degli spot televisivi in onda proprio in questo periodo (segnalato sul Manteblog), dove una storia d’amore è raccontata tramite il form di ricerca più popolare del mondo, protagonista assoluto e narratore silenzioso di un racconto  a colpi di clic.

Sullo stesso principio è basato un gioco proposto da Enrico Sola, un blogger italiano noto come Suzuki Maruti. Sul suo blog sono comparsi i primi esperimenti di un passatempo chiamato Anafore, approdato in seguito anche sul magazine di Grazia. A stimolare la fantasia del blogger sono stati i suggerimenti di ricerca, che Google fornisce mentre state digitando nel campo “ricerca”. Quella funzione che, mentre voi iniziate a scrivere una parola o una frase, prova a indovinare cosa potrebbe servirvi, dicendovi nel contempo qualcosa sulle ricerche più diffuse, con esiti a volte sorprendenti.

Proprio come nella figura retorica chiamata anafora, Suzuki Maruti usa questa  funzione per formare piccole storie le cui parti iniziano con le stesse parole, puntando a risultati surreali. Per esempio, il solo digitare le tre parole “mi ha detto” dà vita a una successione di eventi, una mini-storia che comincia con un dubbio e finisce con una rottura. Se il gioco vi diverte potreste provare anche voi a riprodurlo. Nel peggiore dei casi scoprirete qualcosa di più di quello che  “la gente” cerca su Google.

Potrebbe essere anche un modo leggero per interrogarsi di fronte a strumenti che riescono a suscitare grandi entusiasmi e molta diffidenza,  a volte anche contemporaneamente. Come nel caso di Wave e Buzz, nei primi giorni dei loro lanci manie per bloggers e frequentatori di social network, in seguito bersagli per critiche e abbandoni. Un po’ di consapevolezza e ironia possono essere utili per relazionarsi con marchio che difficilmente un utente web riesce a ignorare. Come ha sagacemente notato un’altra blogger nota come Dottoressa Dania , «la vita è quella cosa che ci accade mentre siamo impegnati a provare l’ennesimo nuovo servizio di Google». L’importante è saperlo.

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