Chi segue il mio blog o i miei canali social sa già come sia stato estremamente impegnato, per vari eventi di divulgazione legati alla settimana internazionale dell’Open Access. Cinque sono gli eventi formalmente registrati sul sito ufficiale (anche se probabilmente ce ne sono stati altri non presenti nel sito): Trieste lunedì 19, Torino e Badia Fiesolana martedì 20, Sassari e Firenze mercoledì 21.
La full immersion di una settimana su questo tema, a me particolarmente caro, mi ha fatto balzare agli occhi ancora una volta quanto gli editori non abbiano compreso il senso autentico dell’Open Access e ancora adesso utilizzino in modo spesso improprio le licenze Creative Commons. Ci basti l’ennesimo esempio segnalato da Eric Hellman di Unglue.it.
Do publishers ever bother to READ the CC license?? #OAWeek #grumpyEric pic.twitter.com/V7i52HAqqK
— Eric Hellman (@gluejar) October 19, 2015
Come ho già raccontato in varie occasioni, certo la categoria degli editori mi ha già iscritto nel libro nero degli autori rompiscatole, proprio per la testardaggine nel voler applicare sempre licenze open alle mie opere, anche quando le prassi contrattuali della casa editrice non lo prevedono (e ciò a volte mi ha portato a diatribe non sempre piacevoli).
Sia chiaro: nessun editore è obbligato ad adottare modelli di business in cui non crede. D’altro canto però sarebbe cosa opportuna che chi li adotta lo faccia in modo corretto e coerente. Troppe volte ho visto editori abusare del termine open access riferendolo a qualsiasi pubblicazione messa a disposizione gratuitamente online, perpetuando il solito pericoloso equivoco open = gratuito che ci portiamo dietro da più di vent’anni anche in ambito informatico.
Mettiamo a fuoco una volta per tutte che cosa sia realmente una pubblicazione open access; e per farlo riprendiamo il primo dei due requisiti essenziali definiti dalla Dichiarazione di Berlino, il documento-manifesto redatto nel 2003 e sottoscritto dai principali enti di ricerca e università di tutto il mondo.
L’autore ed il detentore dei diritti devono garantire a tutti gli utilizzatori il diritto d’accesso gratuito, irrevocabile ed universale e l’autorizzazione a riprodurlo, utilizzarlo, distribuirlo, trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente e a produrre e distribuire lavori da esso derivati, mantenendo comunque l’attribuzione della paternità intellettuale originaria.
Sembra cristallino: la mera gratuità non basta, serve qualcosa di ben più coraggioso. Se vogliamo utilizzare le categorie di Creative Commons, emerge che solo le opere rilasciate con una licenza Attribution oppure Attribution – Share Alike possono essere davvero coerenti con questa definizione. Eppure sono molte le riviste e le collane definite impropriamente open access con tanto di logo ufficiale (il lucchetto aperto di colore arancio) senza che rispettino i canoni comunemente accettati. Mi vien da dire ancora una volta: le parole sono importanti.
A ciò si aggiunge anche un atteggiamento poco collaborativo da parte degli editori, anche quando le istituzioni impegnate nella missione open access cercano di aprire un dialogo con loro per trovare insieme soluzioni soddisfacenti. Elena Giglia, responsabile dei progetti open access dell’Università di Torino e assiduamente impegnata nella divulgazione sul tema, ci racconta:
Nel settembre 2013, dopo l’approvazione del nostro Regolamento Open Access, abbiamo inviato circa 260 email ai maggiori editori con cui i nostri autori avevano pubblicato, per richiedere loro quale fosse la politica nei confronti del deposito in un archivio Open Access, ovvero quale versione consentivano per la diffusione in accesso aperto. A queste si sono poi aggiunte un altro centinaio di richieste su indicazione dei nostri docenti. A oggi abbiamo ricevuto 56 risposte (liberamente disponibili sulla pagina del nostro archivio AperTO) in larga parte da editori minori e in larga parte negative rispetto alla possibilità di depositare.
Insomma, c’è ancora molta strada da fare. E sicuramente avremo modo di approfondire i retroscena della storia.
P.S.: Approfitto per ricordare che questa settimana all’insegna dell’openness non finisce qui. Domani c’è anche la quindicesima edizione del Linux Day, con quasi novanta eventi organizzati lungo tutta la penisola e registrati sul sito ufficiale. Io vi aspetto a Modena ma sono sicuro che anche a pochi chilometri da casa vostra ci sarà sicuramente qualche iniziativa interessante.
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