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A riuso del pubblico

26 Maggio 2015

A riuso del pubblico

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Open data, trasparenza, riutilizzo dei dati: l'indirizzo europeo per il settore pubblico è lampante, quanto lenta la nostra adozione.

Com’è noto, il legislatore italiano non è proprio un fulmine nel recepire i principi delle direttive europee e spesso se la prende comoda rispetto alle scadenze imposte dalla UE. È infatti arrivato a quasi due anni di distanza dall’approvazione della direttiva (e cioè lo scorso 18 maggio) il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2013/37/UE, che a sua volta andava a modificare la precedente direttiva 2003/98/CE.

Si tratta delle due direttive dedicate al riuso dell’informazione nel settore pubblico e anche note con l’acronimo PSI (che appunto sta per Public Sector Information); una serie di norme essenziali per creare degli standard minimi e dei criteri comuni tra tutti gli stati membri dell’Unione Europea per un virtuoso sistema di diffusione e riutilizzo dei dati provenienti dalla pubblica amministrazione.

Con questa seconda direttiva, oltre ad aggiornare i criteri a quelle che sono le più recenti potenzialità della tecnologia, si stabilisce in modo chiaro l’obbligo per gli Stati membri di rendere

riutilizzabili tutti i documenti a meno che l’accesso sia limitato o escluso ai sensi delle disposizioni nazionali sull’accesso agli atti e fatte salve le altre eccezioni stabilite dalla direttiva stessa

rafforzando così ulteriormente il principio open by default di cui abbiamo spesso parlato.

Inoltre, come si legge dal comunicato presente sul sito Governo.it, il nuovo decreto legislativo ha acquisito le indicazioni del parere emesso di recente dal Garante per la protezione dei dati personali e sinteticamente prevede:

  • che vengano inclusi nell’ambito di applicazione i documenti i cui diritti di proprietà intellettuale siano detenuti da biblioteche, da musei e da archivi, qualora il loro riutilizzo sia autorizzato;
  • che gli Stati membri incoraggino l’uso di licenze aperte disponibili on-line, anche al fine di conferire diritti di riutilizzo più ampi e che si basino sui principi dei dati aperti;
  • che la riutilizzabilità sia gratuita o connessa ai soli costi marginali sostenuti per la riproduzione che saranno determinati dall’Agenzia per l’Italia digitale. Sono disciplinati anche i casi in cui è possibile applicare costi superiori a quelli marginali.

Insomma, tre importanti capisaldi per un vero ecosistema pubblico votato all’open data. Attendiamo ora la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo completo del decreto.

E per chi fosse ancora scettico o semplicemente non avesse ancora avuto modo di approfondire questo rivoluzionario argomento, segnaliamo anche la recente uscita della seconda edizione dell’Open Data Handbook (la prima versione risale al 2012). Si tratta di un piccolo vademecum realizzato dalla Open Knowledge Foundation in cui potete trovare linee guida, interessanti casi di studio e altre risorse per far comprendere ai governi, alle pubbliche amministrazioni ma anche alla società civile che cosa sia l’open data e quali siano i suoi effetti positivi. Tra i casi di studio più emblematici (value stories) ci sono davvero esempi emblematici e incoraggianti, anche se – peccato – neanche uno è relativo all’Italia.

Il testo di questo articolo è sotto licenza Creative Commons Attribution – Share Alike 4.0.

L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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