Visto da qui – a qualche ora di distanza e a mente un po’ più fredda – Editech 2012 sembra ruotare intorno a una sola parola: scalabilità, intesa come ottimizzazione del proprio modello produttivo ed economico, ma anche come semplice bisogno di. A due anni dalla partenza del mercato italiano degli ebook, è una tendenza – una necessità – assolutamente normale, fisiologica. Superato l’impatto iniziale, prese le misure del nuovo scenario, questo è, o dovrebbe essere, il momento giusto per provare a consolidare le proprie posizioni e iniziare a costruire su basi solide.
Le tendenze emerse durante la giornata di ieri rischiano però – nemmeno troppo inaspettatamente, per chi ha seguito gli sviluppi degli ultimi mesi – di complicare ulteriormente il quadro, cambiare nuovamente le carte in tavola e introdurre nuove complessità. Ma andiamo con ordine.
Il formato
Come abbiamo già detto altre volte il discorso intorno al formato è a un bivio. Di fatto Epub 2 è l’unico standard presente sul mercato e effettivamente utilizzato. Epub 3 – di cui hanno parlato in molti, ma senza particolare incisività – non è stato ancora implementato da nessun sistema di lettura (eccezion fatta, pare, per Apple con iBooks) e anche i semplici esperimenti in questa direzione languono.
In questo scenario le parole del direttore esecutivo dell’IDPF, Bill McCoy, meritano particolare attenzione:
The open web is becoming the platform for creating a compelling content experience #editech
— Apogeo Editore (@apogeonline) Giugno 21, 2012
Parlare di open web in questo contesto significa essenzialmente due cose: che il futuro degli ebook reader a inchiostro elettronico è incerto (in favore di tablet meglio predisposti oltre che alla lettura alla fruizione della Rete), e che nemmeno l’IDPF ha piena fiducia nel successo di Epub 3, in favore di HTML5. Le conseguenze di questa scelta non sono trascurabili. L’industria editoriale ha impiegato gli ultimi due anni per cercare di recuperare il gap tecnologico di cui soffriva (e di cui in parte ancora soffre) e cercare di sviluppare un modello di business che – per quanto perfettibile – fosse quantomeno sostenibile, basato sulla vendita di file e di licenze di accesso all’interno di piattaforme chiuse (Amazon, Apple, Google e DRM Adobe). Aprire all’open web (e quindi a una struttura aperta con al centro non semplici file ma applicazioni web) significa far saltare di nuovo anche questi fragili equilibri e rimettere tutto in discussione.
Il workflow
Direttamente coinvolto in questo passaggio – e da sempre questione centrale per affrontare i cambiamenti del lavoro editoriale – è il flusso di lavoro. La sessione pomeridiana dedicata ai workflow non ha fornito risposte – e di sicuro non ci si aspettava che lo facesse – né introdotto elementi di novità rispetto a quanto già detto più volte. Inoltre si è concentrata molto più sull’elencazione dei problemi operativi da affrontare che sulla definizione di una visione innovativa o efficace, di cui c’è particolarmente bisogno in un momento in cui la domanda smette di essere come realizzo il mio prodotto? e diventa quali e quanti prodotti dovrò realizzare?
Al di là dei discorsi ormai rodati sull’impostazione necessaria a sviluppare un flusso di lavoro tecnologicamente adeguato (XML first, alto tasso di automazione, un solo input per molti output), sono emersi – e sono considerazioni interessanti – due elementi spesso trascurati e ora percepiti come anelli deboli: conversione e authoring. La fase più complessa e delicata di un workflow editoriale è quella che ha il compito di portare i contenuti dal formato in cui vengono creati (tipicamente un file Word) verso un markup più o meno semantico e strutturato, adatto alle esigenze di produzione. Al momento questo passaggio deve necessariamente essere gestito attraverso uno o più processi di conversione, che rendono il processo mai completamente efficiente e sempre molto frammentato e articolato.
Ha scritto Gino Roncaglia:
Il punto: RT @roncaglia: Too much conversion, too few powerful, native authoring tools #Editech
— Apogeo Editore (@apogeonline) Giugno 21, 2012
La mancanza di strumenti di authoring efficaci e adatti alle esigenze editoriali attuali si sta trasformando in un limite strutturale. E – per quanto possa sembrare inattuabile – portare l’autore (o meglio, il rapporto autore-redazione) all’interno del processo produttivo potrebbe essere parte della soluzione, non del problema.
Agile Publishing
Agile Publishing – di cui si è parlato durante la sessione sui metadati – significa fondamentalmente due cose:
Agile publishing in sintesi: sviluppo continuo del prodotto, iterazioni veloci, niente è perfetto, tutto è perfettibile #editech
— Apogeo Editore (@apogeonline) Giugno 21, 2012
Agile publishing in sintesi: tutti i team lavorano insieme, dall’autore alle vendite #editech
— Apogeo Editore (@apogeonline) Giugno 21, 2012
Tutti i team lavorano insieme e l’autore è parte integrante del team. Ma soprattutto, salta il modello classico di lavoro sul contenuto e sul prodotto. Il libro – o l’ebook – non termina il suo ciclo vitale al massimo un mese dopo l’uscita, ma entra a far parte di quello che è stato definito lean cycle: idea > progettazione > messa in vendita > analisi dei dati > idea e suo miglioramento, e avanti così. All’interno di questo ciclo si procede per minimi, continui miglioramenti: sul contenuto, sulla qualità del codice, sui metadati, sul posizionamento, sulle strategie di marketing e comunicazione, sul flusso di lavoro che rende possibile tutto questo, lean cycle incluso. Nessun ebook è esausto, nessun titolo in catalogo smette di essere una risorsa, nessun contenuto è inutile o può essere trascurato.
Più che di un workflow rinnovato si tratta di una mentalità: un’impostazione volta all’apprendimento e al costante miglioramento, non al semplice raggiungimento di un fine (pubblicare). E il risultato di lungo periodo di un approccio di questo tipo è – può essere – fondamentale per raggiungere un obiettivo strategico: la scalabilità.
La fine dell’editoria digitale
In conclusione sembra giunto il momento di cambiare il modo di affrontare la sfida digitale.
#editech Ecco il punto: trasformare l’editoria in un’industria scalabile. Non editoria digitale, ma editoria scalabile. Thx Bill Mc Coy
— Fabio Brivio (@f4b10b) Giugno 21, 2012
Editoria digitale è un’espressione diventata desueta in brevissimo tempo. Esiste un solo tipo di editoria e coinvolge chiunque si occupi di pubblicare o di rendere possibile la pubblicazione di contenuti, in qualunque formato e attraverso qualunque medium. Il Web ha fatto sì che ognuno potesse prendere parte al processo. Si tratta di un fatto, di un’infrastruttura, e non è il caso di dilungarsi altrimenti.
Diffondere i propri contenuti attraverso media digitali – ebook, Web, applicazioni – non può essere un obiettivo. Piuttosto si tratta di una precondizione. La complessità si sposta altrove: sul modo in cui rendere questo processo economicamente sostenibile, fluido, controllabile. Parlare di editoria scalabile significa aver maturato la consapevolezza delle condizioni attuali, smettere di dare eccessiva attenzione all’esito di un flusso di produzione e concentrarsi su come gestire al meglio questo flusso: smettere di subirlo e riuscire a determinarlo.
Un buon obiettivo per l’anno a venire.